di Rafael Reig
C arogna. Di questo odorava la tenda. Di carne in decomposizione. Era ancora notte, non c'era bisogno di aprire gli occhi per saperlo. Quando si svegliò, suo figlio non c'era. Tastò il sacco a pelo vuoto, era ancora caldo. Che vigliacco. Che traditore. Di cosa aveva tanta paura, da scappare nel cuore della notte? Scappare dal suo stesso padre, carne della sua carne.
Carlos ha mal di testa e ricorda che durante la notte, alla fine, aveva un po' esagerato con il whisky. C'è qualcosa di ruvido e pulsante che lo incalza sotto le ossa parietali. La lingua e il palato sono fermentati durante il sonno, si sono coperti di muschio o di humus. I globi oculari sembrano pietre, sono infiammati, ma verso l'interno, premono contro la fronte. Ha un'erezione inconsueta, inquietante, impellente. Per quanto sappia che passerà facendo pipì, si chiede a chi potrebbe offrirla, chi si meriti una simile potenza. Considera la possibilità di masturbarsi. Accantona l'idea: è un padre, ha delle responsabilità. Suo figlio può tornare in qualsiasi momento. O, peggio ancora: può essere in pericolo. Ha un dovere da compiere. Immagina Jorge caduto in un dirupo, ferito, indifeso, aggredito dalle belve, che si trascina per terra, coperto di sangue.
Per uscire dovette aprire la cerniera esterna della tenda, perché suo figlio aveva chiuso da fuori. Se Jorge avesse pensato di tornare subito, non l'avrebbe fatto. Che cos'aveva in mente, allora? Che cosa cospirava? Voleva per caso rallentarlo, impedirgli di raggiungerlo? L'alba non dava segnali. La valle si era trincerata in un'oscurità immobile e profonda. Faceva freddo e il cielo era coperto, senza una sola stella. La pipì smosse foglie grandi come mani. Avevano fiori bianchicci e rossastri, con un odore molto cattivo. Pensò che doveva essere una mandragora. Aveva sentito dire che crescono ai piedi degli impiccati. Che razza di figlio è, un figlio che non si fida di suo padre? O forse no, forse era in pericolo o non trovava più la strada per tornare alla tenda. Avrebbe fatto meglio ad aspettare che facesse giorno per andarlo a cercare, gli sarebbe servito di lezione. Poteva essersi rotto una gamba, suo figlio era molto goffo, aveva il vizio di inciampare. Faceva pena, vederlo camminare. Carlos decise di tornare a prendere una torcia, ma poi udì un furioso battere di ali e un rumore di picchiate, lo scricchiolio di qualcosa che si spezza.
Poi vide suo figlio, steso a pancia sotto.
Senza esitare, si mise a correre verso di lui. Poteva essere svenuto, forse morto. Lo chiamò per nome e lui si girò, sollevandosi in una posizione innaturale, appoggiato su un gomito, e portandosi alle labbra un dito dell'altra mano.
«Che succede, Jorge?» gli chiese a bassa voce, dopo essersi accucciato accanto a lui.
«Ho una paura tremenda, papà».
«Non guardare. Non guardare, se ti fa paura».
«Non riesco a non guardare».
Dal posto dove Jorge era steso a terra si intravedeva la sporgenza di una roccia piatta. Ancora non riusciva a fare giorno, eppure proprio lì, su quella pietra, c'era un chiarore inquietante, una luminosità lunare che lucidava il granito. Appoggiò una mano sulla spalla di suo figlio e Jorge trasalì. Che pena gli faceva, suo figlio. Era così pauroso. Aveva finalmente quel che aveva sempre desiderato, il contatto con la natura, e guardalo, paralizzato dal terrore, incapace di staccare gli occhi da ciò che lo faceva tremare.
«Non aver paura. A te non può succedere niente, tu sei vivo».
Invece di tranquillizzarlo, le parole di suo padre accrebbero il suo sgomento. Il ragazzo pareva aver compreso una cosa diversa: «Finché sei vivo».
Non si distingueva facilmente, doveva essere un agnello. Si sarà allontanato dal sentiero, forse una distrazione del pastore, si sarà rotto una zampa e si sarà trascinato fino a trovare la morte su quella roccia. I rapaci erano già accorsi al banchetto, tre enormi avvoltoi che ficcavano il becco nella carne e staccavano le ossa, cercando gli organi teneri e nutrienti, divorando grasso e tessuti, sorbendo fluidi e sangue. Tra poche ore non sarebbe rimasto altro che un pugno di ossa al sole, forse qualche cartilagine dimenticata. Succede la stessa cosa quando si seppelliscono i cadaveri, pensò Carlos: tutto ciò che muore è alimento.
«Andiamo, su, qui non c'è niente da vedere» cercava di riscuoterlo dal suo stupore. «Dai, che abbiamo fretta».
Il ragazzo si alzò a malincuore e seguì suo padre verso la tenda, continuando a voltarsi indietro. Appena fosse stato chiaro, avrebbero affrontato la salita. Ma quanto ci metteva a venir mattina.
«Perché hai chiuso la tenda dall'esterno?»
«Per proteggerti, papà. Dalle bestie».
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