Il serial killer di Deaver arricchisce la collezione

Una giovane commessa dalla pelle tatuata, un seminterrato, uno strano rumore... Inizia così il sequel di un thriller di culto

Il serial killer di Deaver arricchisce la collezione

Il collezionista di ossa di Jeffery Deaver, del 1997, anche grazie al celebre film con Denzel Washington, è stato un libro-spartiacque del genere thriller, che ha segnato l'immaginario collettivo. Oggi Jeffery Deaver (nato a Chicago nel 1950, bestsellerista mondiale tradotto in 25 lingue e pubblicati in 150 Paesi) firma il sequel di quel romanzo di culto: arriva L'ombra del collezionista (Rizzoli, pp. 496, euro 19; trad. Rosa Prencipe), da oggi in libreria. Undicesimo thriller della serie di Lincoln Rhyme, è il vero seguito del capostipite. Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo l'inizio del primo capitolo.

Il seminterrato.

Doveva andare nel seminterrato.

Chloe odiava quel posto.

Ma avevano terminato le 44 e le 46 del Rue du Cannes (il pacchiano abitino a fiori con l'orlo smerlato e la scollatura vertiginosa) e doveva rifornire gli espositori, riempirli per gli occhi dei clienti. Chloe era un'attrice, non un'esperta di moda al dettaglio, e nuova in negozio. Perciò non riusciva a capire come mai, in un novembre che imitava gennaio, quei particolari abiti si vendessero tanto. Fino a quando il suo capo non le aveva spiegato che, anche se il negozio si trovava nell'alternativa SoHo a Manhattan, i codici postali delle acquirenti erano quelli del Jersey, del Westchester e di Long Island.

«E?».

«Crociere, Chloe. Crociere».

«Ah».

Chloe Moore andò nel retro del negozio. Lì era l'esatto contrario del reparto vendite e chic quanto un magazzino. Trovò la chiave tra quelle che le penzolavano dal polso e aprì la porta del seminterrato. Accese le luci e osservò i gradini poco sicuri.

Un sospiro e iniziò la discesa. La porta a molla si chiuse di scatto alle sue spalle. Chloe, che non era una donna minuta, affrontò le scale con prudenza. Portava ai piedi un paio di VeraWong taroccate. Scarpe contraffatte e architettura centenaria potevano essere una combinazione pericolosa.

Il seminterrato.

Lo odiava.

Non aveva paura di eventuali intrusi. C'era una sola porta per entrare e uscire, quella che lei aveva appena varcato. Ma quel posto era ammuffito, umido, freddo... e disseminato di ragnatele. E questo significava scaltri e avidi ragni.

E Chloe sapeva che le sarebbe servita una spazzola adesiva per eliminare la polvere dalla gonna verde scuro e dalla camicetta nera (Le Bordeaux e La Seine).

Mise piede sul pavimento irregolare e pieno di crepe, spostandosi a sinistra per evitare una grossa ragnatela. Ma incappò in un altro lungo filo appiccicoso che le aderì alla faccia, facendole il solletico. Dopo un comico balletto per cercare di strapparsi via quel dannato coso e non cadere, continuò la sua ricerca. Le occorsero cinque minuti per trovare la partita di Rue du Cannes, che potevano anche avere nome e aspetto francese, ma arrivavano in casse stampigliate con grossi caratteri cinesi.

Tirando giù i cartoni dallo scaffale, Chloe udì un fruscio. Si bloccò. Allungò la testa in quella direzione. Il suono non si ripeté.

Però lei sentì un altro rumore.

Plic, plic, plic.

C'era una perdita?

Anche se a malincuore, Chloe scendeva spesso là sotto e non aveva mai sentito rumore d'acqua. Impilò i finti vestiti francesi vicino alle scale e tornò a indagare. Gran parte delle scorte di magazzino si trovava sugli scaffali, alcune scatole, però, erano a terra. Una perdita poteva essere disastrosa. E anche se la sua destinazione finale era Broadway, per l'immediato futuro aveva bisogno di tenersi il lavoro da Chez Nord. Individuare una perdita prima che rovinasse diecimila dollari di abiti troppo costosi poteva contribuire non poco a mantenere costante il flusso dei suoi stipendi nel conto alla Chase Bank.

Andò verso la parte posteriore del locale, decisa a trovare la perdita, anche se in modalità massima allerta ragni. Lo sgocciolio si fece più forte man mano che procedeva verso il fondo, ancora più tenebroso della parte anteriore, quella vicina alle scale.

Girò dietro uno scaffale che conteneva un'enorme scorta di bluse, così brutte che neanche sua madre le avrebbe mai indossate: il grosso ordine di un buyer che, secondo Chloe, aveva fatto l'acquisto perché sapeva di essere prossimo al licenziamento.

Plic, plic...

Strizzò gli occhi.

Strano. Cos'era? Nella parete di fondo si apriva una porta. Il rumore dell'acqua proveniva da lì. La porta, dipinta di grigio come le pareti, era all'incirca di un metro per un metro e mezzo. Dove conduceva? C'era uno scantinato? Non aveva mai visto quell'accesso ma, d'altro canto, non credeva di aver mai guardato la parete dietro l'ultimo scaffale. Non ce n'era mai stato motivo. E perché era aperta? In città c'erano di continuo lavori edili, soprattutto nelle zone più vecchie, proprio come SoHo. Ma nessuno aveva parlato ai commessi – a lei, perlomeno – di una riparazione sotto il palazzo.

Forse quello strano custode polacco, o rumeno, o russo, stava facendo delle riparazioni. Ma no, era impossibile. La direttrice non si fidava di lui, e lui non aveva le chiavi del seminterrato. Okay, il fattore fifa stava crescendo.

Lascia perdere le congetture. Di' a Marge dello sgocciolio. Dille della porta aperta. Fa' scendere di sotto Vlad o Mikhail o come diavolo si chiama, che si guadagni lo stipendio.

Poi un altro fruscio. Stavolta sembrava un piede che strisciava sul cemento scabro. Cazzo.

Adesso basta. Via. Di. Qui.

Ma prima che potesse uscire, prima ancora che riuscisse a girarsi, lui le fu addosso da dietro, sbattendole la testa contro il muro. Le premette uno straccio sulla bocca per imbavagliarla. Lei svenne quasi per lo choc. Il dolore le esplose nel collo.

Si girò per guardarlo in viso.

Dio, Dio...

Per poco non vomitò nel vedere la maschera di lattice giallastra, con le fessure per gli occhi, la bocca e le orecchie. Era aderente e distorceva la carne sottostante, come se la faccia fosse liquefatta. Portava una tuta da lavoro, con sopra un logo che lei non riusciva a leggere.

Piangendo, scrollando la testa, Chloe implorava, urlava attraverso lo straccio che lui le teneva premuto saldamente sulla bocca con la mano strizzata in un guanto disgustosamente giallo come la maschera.

«Ascoltami, ti prego! Non farlo! Tu non capisci! Ascolta, ascolta...» Ma le sue parole non erano che suoni smorzati.

Perché non ho fermato la porta? Ci avevo anche pensato...

Era furiosa con se stessa.

Gli occhi calmi di lui la scrutavano. Ma non si soffermarono sui seni, né sulle labbra, o sui fianchi o sulle gambe. Solo sulla pelle delle sue braccia nude, sulla gola, sul collo... dove si concentrò intensamente sul piccolo tatuaggio di un tulipano blu.

«Senza infamia e senza lode» sussurrò.

Lei stava mugolando, tremando, gemendo. «Cosa, cosa, cosa vuoi?». Ma perché glielo chiedeva? Lo sapeva già.

© 2014 RCS Libri S.p.A., Milano

Published by Arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency

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