Cultura e Spettacoli

Soccorso rosso di "Avvenire" in difesa di Dossetti

Il mondo cattolico spiazzato dal passato fascista di un'icona della sinistra

da Reggio Emilia

Dossetti fascista convinto? Vietato dirlo in ambiente cattolico. Non è piaciuto lo scoop del Giornale (di sabato scorso) che ha mostrato una lettera (pubblicata nel libro La guerra dentro la guerra di Rossana Maseroli, ed. Lui) del futuro partigiano cattocomunista, Giuseppe Dossetti, definito «ottimo elemento, di provata fede fascista» da una lettera del Pnf, che nel '37 lo metteva tra i giovani promettenti dell'intellighentia fascista di Reggio Emilia. Il quotidiano Avvenire ha fatto partire il soccorso rosso e minimizzato (smentirla è impossibile) la lettera del segretario del Fascio, Sante Simonini, dove Dossetti è identificato come «camerata e abile oratore, ottimo elemento». Un Dossetti “corpo scelto” della cultura fascista, consapevole ancora nel 1937 della bontà del regime di Mussolini. La contraerea di Avvenire è partita - ieri - con un articolo di Edoardo Tincani, direttore della Libertà, settimanale della Diocesi di Reggio, retta dal ciellino Massimo Camisasca. A ridimensionare la portata del documento, il nipote Don Giuseppe Dossetti junior e lo storico Sandro Spreafico: «Tutte le migliori menti erano parte del Guf per conferenze sui temi più di diversi di carattere storico o artistico». Secondo Spreafico quella lettera «è un fatto isolato», mentre la partecipazione di Dossetti alla vita fascista, solo una vivace proposta culturale.
Sicuri? Forse Spreafico non ha letto Il giovane Dossetti (Il Mulino 2006) di Enrico Galavotti nel quale si riporta una di queste conferenze così «culturali». In contrapposizione alle nefaste conseguenze del bolscevismo, Dossetti citava «la meravigliosa opera ricostruttrice e redentrice del fascismo, che ha fatto dell'Italia il centro di irradiazione di civiltà nel mondo». Così si esprimeva Dossetti nel '34, non proprio una generica proposta culturale, ma una apologia di Mussolini.

Com'è lontano il Dossetti che nel dopoguerra dirà: «Il fascismo mi stava epidermicamente sullo stomaco».

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