Sotto la felce fiorisce il genio di Oliver Sacks

Quante felci avete in casa, in giardino o sul terrazzo? Se volete guardarle con occhi diversi dovreste andare da uno pteridologo, oppure, alternativa migliore, ricorrere a un famoso neurologo. Oliver Sacks, infatti, oltre a aver scritto testi scientifici popolari, divulgativi e ormai diventati classici sulla mente (il più famoso è L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello ), è un esperto di felci, e lo racconta in un meraviglioso libro più appassionante della maggior parte dei romanzi in circolazione, il Diario di Oaxaca , edito da Adelphi, e uscito anni fa per Feltrinelli, a riprova che gli scienziati ormai fanno letteratura meglio degli scrittori. Membro dell'American Fern Society, ci offre un reportage di viaggio in Messico e ai primordi del mondo.

Ma chissenefrega delle felci? Vi sembra un argomento noioso? Tutt'altro. Sappiate innanzitutto che gli esperti di felci sono molto snob nei confronti delle piante da fiori. Non le sopportano, e hanno le loro ragioni. «Trovo i fiori troppo espliciti e retorici, a volte eccessivi» scrive Sacks. In effetti anche io i fiori non li ho mai sopportati, né li ho mai regalati, e prima di leggere Sacks non avevo una spiegazione intelligente per motivare questa idiosincrasia. Infatti le piante da fiore, più evolute, hanno bisogno di colori sgargianti per riprodursi attraverso gli insetti, i quali a loro volta si evolvono specularmente (in biologia si chiama coevoluzione). Charles Darwin dedusse, osservando un'orchidea dal calice molto profondo, che dovesse esistere un insetto con una proboscide altrettanto lunga, e in effetti c'era. Basti pensare che la stessa frutta rossa e arancione è comparsa «solo» negli ultimi trenta milioni di anni, con lo sviluppo della visione tricromatica delle scimmie nostre antenate. Mentre le felci hanno trecento milioni di anni, la nostra specie ne ha appena duecentomila, e i dinosauri si sono estinti sessantacinque milioni di anni fa, tra l'altro a causa di un asteroide caduto proprio in Messico. Alle felci, in compenso, la catastrofe non fece ne caldo né freddo. Poiché il meccanismo di riproduzione delle felci restò misterioso fino al diciannovesimo secolo, non essendo appunto visibili gli organi riproduttivi, si riteneva avessero proprietà magiche. Le cita anche Shakespeare nell' Enrico IV : «abbiamo trovato dei semi di felci, siamo invisibili».

Non si diventa invisibili, purtroppo, ma grazie a Sacks non vedrete più una felce con gli stessi occhi. Non si sa neppure quante specie ne esistano esattamente, e l'onomastica tassonomica sembra uscire da un sabba di streghe: Capelvenere, Polypodium, Woordwardia, Polystycum, Cyrtomium, Adiantum, Davallia... Tuttavia la felce più interessante è la felce aquilina: gli erbivori che la mangiano impazziscono, vanno soggetti a turbe nervose, barcollano, perdono la coordinazione e possono perfino morire. Se punta da un insetto, la felce aquilina secerne cianuro, e non solo: è satura di un ormone, l'ecdisone, in grado di provocare malformazioni genetiche, infatti gli antichi romani la mettevano nel letame per salvaguardare i raccolti. Io inviterei anche i naturisti a pensarci su, convinti che la natura sia sempre bella e buona, oltre a fare una distinzione insensata tra chimico e naturale (con annesso business del «bio», come se tutto ciò che è vivo non fosse biologico, inclusi virus e batteri).

Mangiare spesso felci aquiline può essere mortale, e non per i motivi suddetti, ma perché contengono perfino un potentissimo agente cancerogeno, capace di causare negli esseri umani il cancro allo stomaco. Insomma, state attenti vegani, un'insalata potrebbe esservi fatale.

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