La storia degli uomini invisibili che hanno sconfitto le Brigate Rosse

Hanno pedinato brigatisti e catturato terroristi. In un libro le imprese degli uomini "invisibili" che hanno combattuto l'eversione rossa

La storia degli uomini invisibili che hanno sconfitto le Brigate Rosse

Molti dei lettori conosceranno la storia delle Brigate Rosse. Qualcuno le avrà "viste" da vicino, per altri l'anagrafica impedisce di averle vissute. Ma sono una parte, dolorosa, della storia d’Italia. Gli antagonisti sono noti, le vittime anche. Ma non sempre ci si sofferma a pensare alle vite di chi l'organizzazione terroristica l’ha combattuta sul campo di battaglia: la strada.

Eppure è grazie a loro se un bel giorno lo Stato si è svegliato libero dall'incubo brigatista. Diversi atti criminali dopo, certo. Con l’uccisione di Aldo Moro sulle spalle, vero. E soprattutto con troppi misteri ancora da risolvere. Ma è per merito degli uomini della Sezione Speciale Anticrimine se la stella a cinque punte ha smesso di brillare. Li chiamavano "invisibili", e lo sono rimasti praticamente anche alla fine degli anni di Piombo. A raccontarne per la prima volta la storia è Emiliano Arrigo in "Il coraggio tra le mani" (Historica edizioni). È la trama di Oberdan, Kawasaki, Lupo, Tromba, Palla, Nikon, Villa, Bolognese, Donato, Frasca, Vecchio. Un libro nato dal dialogo con Enzo Magrì, uno dei carabinieri della sezione comandata dal generale Mario Mori: "Il mio nome di battaglia era Nero, entrai nell’Arma per combattere la mafia e mi ritrovai a combattere il terrorismo di sinistra".

Il libro è un faccia a faccia vivo e molto umano tra autore e attore. Racconta i pedinamenti, le notti passate in Sezione a Roma, i blitz e le irruzioni. Ma anche i sentimenti e le paure di chi ha dedicato la vita alla divisa. Un'intensa attività investigativa che "portò non solo alla sconfitta della ‘Colonna romana’ ma anche di quelle fazioni e di quei gruppi terroristici che si intersecavano attivamente con le Brigate Rosse". Patrizio Peci, primo pentito delle Br, ebbe a dire che mentre i brigatisti sapevano bene "chi erano e come lavoravano gli uomini della Digos”, una coltre di mistero avvolgeva i carabinieri dell’Antiterrorismo. Perché "non sapevamo chi fossero (…), come erano organizzati, quali fossero i loro metodi". "Erano dei fantasmi - spiegò Peci - e ce li sentivamo addosso".

La sezione, spiega Mori nella prefazione, nacque dalla necessità di aggiornare la lotta al crimine assegnando competenze particolari e specifiche ad alcuni reparti. Servivano "investigatori nuovi", con professionalità mirate e che arrivassero dalla stessa cultura giovanile in cui era emersa l'eversione (rossa e nera). Nacque così nel 1974 il Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria, che originò poi le Sezioni Speciali Anticrimine e infine il Raggruppamento Operativo Speciale (ROS). L'obiettivo era quello di acquisire "superiorità informativa" sul nemico, registrandone i movimenti senza far mai emergere la propria presenza (anche a questo servivano i nomi di battaglia). Solo una volta individuati tutti i membri della cellula indagata si procedeva all'arresto, assicurandosi di "risparmiare" qualcuno in modo che potesse portare gli investigatori verso nuovi gruppi sovversivi. La Sezione di Magrì realizzò anche operazioni a Parigi per catturare "gli ultimi irriducibili" delle Br. "Quando alla fine del 1991 chiesi trasferimento dalla Sezione presso altro Comando dell’Arma - racconta Nero - sul territorio nazionale non vi era più un latitante. Gli altri ancora in libertà, facenti parte dell’elenco dei catturandi, erano tutti rifugiati all’estero".

Fa riflettere quanto l'azione in trincea di questi

servitori dello Stato abbia ottenuto molte meno "finestre mediatiche" di alcuni ex brigatisti. Il libro di Arrigo e Magrì restituisce loro, finalmente, una parte del giusto riconoscimento.

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