Dopo che l’Inghilterra entrò in guerra nel 1939, si creò un problema nel «fronte interno» di Londra, il West End che dallo Strand a Myfair vedeva schierati, come tante divisioni, i grandi alberghi dell’epoca imperiale, il Claridge’s e il Ritz, il Dorchester e il Savoy... I loro bar, ristoranti, saloni e camere si riempirono di politici e diplomatici, membri del governo e funzionari dell’M15, il servizio di sicurezza britannico: erano luoghi comodi e votati alla privacy, relativamente sicuri, grazie alle cantine riadattate in rifugi antiaerei, e facili da raggiungere. L’unico ostacolo era che spesso i loro vertici, direttori di sala e dei ristoranti, maestri sommelier e responsabili del personale, erano di origine italiana e anche l’Italia era entrata in guerra. Fu così che Loreto Santarelli, «restaurant manager» del Savoy, fu arrestato e chiuso in un campo di concentramento. Come Fortunato Picchi, che sempre al Savoy era «assistent banqueting mananger» e che, nonostante tifasse per l’Arsenal e odiasse Mussolini, aveva con quest’ultimo una straordinaria rassomiglianza... Dal Ritz vennero prelevati il sommelier Carlo Ravetto e suo fratello Ludovico, capo cameriere, nonché il direttore dell’albergo, Cesare Maggi... L’internamento faceva parte di una politica di sicurezza interna nei confronti di «cittadini di nazioni nemiche» che nel suo primo giorno di governo Winston Churchill aveva sintetizzato così: «Arrestarli tutti»...
I grandi hotel di Londra erano qualcosa di più di un albergo per quanto lussuoso. Incarnavano un’etica e un’estetica, un modo d’essere e di voler essere. Erano strutturati su modelli militari, dove la democrazia era bandita, l’ineguaglianza praticata e i sindacati ovviamente sconosciuti. Tutto era forma e rispetto della forma e tutto era gestito in uniforme. Come spesso accade per le tradizioni inglesi, la loro creazione fu un frutto straniero rimodellato e presentato come British Style. Fu lo svizzero Cesar Ritz il primo manager del Savoy e poi del Carlton e infine dell’albergo cui diede il suo nome. Fu il francese Georges-Auguste Escoffier lo chef che insegnò a mangiare all’aristocrazia britannica. Cucinava indossando scarpe con i tacchi alti per poter guardare nelle pentole sovrastando i sottoposti e si rifiutò per tutta la vita di imparare l’inglese perché temeva che quella lingua rovinasse i suoi piatti...
In The West End Front. The Wartime secrets of London’s grand hotels (Faber, pagg. 344, sterline 20), Matthew Sweet scrive che furono questi uomini e le loro creazioni a persuadere «la plutocrazia e l’aristocrazia a fare ciò che non erano abituati: mangiare, bere, fumare e ballare in pubblico». Sweet probabilmente estremizza, ma coglie un elemento non secondario: la possibilità di divertirsi, flirtare e fare affari di una società maschile che nei club non contemplava né una presenza femminile né la volgarità di parlare di soldi e di lavoro... A partire dal ’40, questi hotel assunsero uno status politico e culturale mai raggiunto prima, residenze temporanee di ministri, governi stranieri e reali in esilio, ufficiali d’alto rango, giornalisti di politica estera e corrispondenti di guerra, agenti segreti... «Il Dorchester, il Savoy, il Ritz e il Claridge’s: ciascuno di essi era una specie di Casablanca».
Ricchissimo per fonti, documenti, testimonianze, scritto con brillantezza e umanità, il libro di Sweet è una miniera di storie piccole e grandi, dove nomi altisonanti si mischiano a nomi umili, politici importanti danno la mano a millantatori, profittatori, mitomani. Al Dorchester si poteva incontrare Lord Halifax, responsabile degli Affari Esteri, amante di Alexandra «Baba» Metcalfe, detta «Baba camicia nera» per i suoi amori con Dino Grandi, ambasciatore del Duce a Londra, e Oswald Mosley, il Mussolini britannico. Già viceré dell’India, Halifax era abituato a non preoccuparsi di chi avesse intorno, perché dava per scontato che fosse stato preventivamente selezionato. Solo che la Londra bellica non era la Calcutta degli anni ’30 e Halifax aveva l’abitudine di dimenticare i telegrammi confidenziali nel bagno della sua suite, i documenti cifrati sul tappeto, e di parlare ad alta voce di questioni di Stato di fronte a gente che nemmeno conosceva, un pubblico che, secondo il fotografo Cecil Beaton, era composto di «musicisti di second’ordine, pederasti in servizio, attrici anch’esse in servizio, declassati sociali». Spie tedesche si incontravano nella coffe-lounge, spie inglesi perlustravano i piani, prostitute locali si riscaldavano davanti alle griglie dell’uscita secondaria, uomini in uniforme e ragazze in abito lungo ballavano nella Gold Room.
Per molti versi, il Savoy come il Ritz, il Claridge’s e, appunto, il Dorchester somigliavano a transatlantici di lusso nella tempesta. Il bar sotterraneo del Ritz, il Pink Sink, era il ritrovo di un mondo omosessuale che dall’oscuramento cittadino aveva tratto una nuova ragione di felicità sessuale, il Rivoli che lo sovrastava ospitava gli eterosessuali ansiosi di peccare. Ci potevi incontrare l’anziana e impoverita marchesa veneziana Casati, che usava il lucido da scarpe come make up per gli occhi, lo spione omosessuale Gay Burgess, la spiona doppiogiochista Stella Londsale... Nella suite 212 del Claridge’s, trasformata per l’occasione in territorio iugoslavo, nascerà Alessandro di Iugoslavia e il numero di teste coronate in esilio sarà talmente alto che avendo l’attore Douglas Fairbanks jr apostrofato ad alta voce un cameriere che si chiamava King, si sentì rispondere da re Giorgio di Grecia...
Ci fu spazio anche per quella che Sweet chiama «The Ritz-Krieg», facendo il verso alla Blitz-Krieg, la guerra lampo tedesca. Avvenne nel settembre ’40, l’ottava notte dei bombardamenti su Londra, quando una quarantina di persone invasero il Savoy per protestare contro l’assenza di rifugi antiaerei e il privilegio delle sue cantine sotterranee.
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