"La tecnologia è utile ma siamo persone, non profili Facebook"

Nel nuovo, acclamato romanzo di Joshua Ferris un furto d'identità on line apre una crisi di coscienza. In cui si specchia l'intera società

Raramente la letteratura ha regalato personaggi tanto insoliti come Paul O'Rourke, partorito dalla fantasia di Joshua Ferris (newyorkese, classe 1974). E ancor più raramente la categoria dei dentisti ha fornito un fulgido esempio di professionista, qual è appunto il protagonista di Svegliamoci pure, ma a un'ora decente (Neri Pozza, pagg. 368, euro 17), terzo romanzo di Ferris, appena uscito in Italia. Un dentista di successo, colto nel bel mezzo di una crisi di identità che diventa paradigma della confusione in cui versa gran parte dei suoi connazionali. In questi giorni l'autore è a Roma, dove ha partecipato al festival Letterature insieme con Paolo Giordano e Benjamin Alire Sáenz.

Iniziamo da una domanda scontata. Lo usa il filo interdentale? E il suo dentista ha letto il romanzo?
«Lo uso regolarmente. No, il mio dentista non l'ha letto. Ma io sono fortunato. Ho denti molto sani e da lui vado poco. Però le ricerche che ho effettuato mi hanno portato ad avere una particolare simpatia per questa categoria. Inoltre ho scoperto che si può dire molto delle persone in base al modo in cui si prendono cura dei propri denti».

Il protagonista si lancia spesso in invettive feroci sulla società americana e definisce la gente «riottosa, pigra e miope».
«Non confondiamo il personaggio con l'autore. Per lui la trascuratezza nell'igiene orale è un paradigma universale. A me premeva piuttosto costruire un personaggio credibile, con ferree convinzioni che, però, si ritrova all'improvviso inghiottito nel gorgo del bisogno di appartenenza e di costruire un'identità forte».

C'è distanza tra lei e Paul O'Rourke, cui rubano l'identità on line, anche quando questi grida disperato: «Sono una persona non un profilo Facebook»?
«Costruendo un personaggio a tutto tondo non potevo fare diversamente. In questo caso però lo sento affine. Spesso mi sono trovato a difendere l'irriducibilità del mio io da stroncature, da etichette. Da tutte quelle facili riduzioni che i media e i social network impongono».

Se la prende anche con il più celebre dei motori di ricerca, che ci costringe a vivere in un mondo privo di congetture, dove ogni dubbio è risolto da un semplice clic dello smartphone.
«La tecnologia è comoda, non la demonizzo. L'essere umano si è evoluto perché da sempre tende alla perfezione. Ora però stiamo esagerando. E la nostra ambizione di perfezione sembra riguardare anche il nostro sapere. È penoso vedere le persone che credono di poter gestire il loro sapere grazie a un telefonino».

Nel romanzo sostiene che il sogno americano di mobilità sociale verso l'alto ha ormai perso forza propulsiva e che ora si fugge in tutte le direzioni in cerca di stimoli interiori.
«Paul O'Rourke è un dentista affermato. E questo vuol dire, soprattutto a New York, un professionista pieno di soldi. È più facile raccontare le crisi di identità delle persone facoltose. I poveri hanno altre priorità, rispetto alla ricerca dell'Io».

A proposito di identità, nel romanzo appare anche un personaggio secondario che aspira (da gentile e ateo) a divenire rabbino. Cosa che le permette di proporre differenti punti di vista sulla questione ebraica. Interessanti proprio perché antitetiche. Come è stato accolto il libro su questo punto?
«Da noi è troppo sottile la differenza tra americano ed ebreo americano. Possiamo proporre tutte le argomentazioni che vogliamo sul tema senza causare alcun disagio».

E lei, invece, si definisce «ateo non praticante». Cosa intende esattamente?
«Non praticante nel senso che ammetto che il divino operi su di me in momenti inattesi. Posso farle un esempio?».

Certo.
«Mio padre ha avuto un ictus da poco. E io, mentre mi trovavo a bordo di un treno in Inghilterra, stavo ragionando proprio sul fatto se era il caso o meno che telefonassi a casa per sapere di lui quando fuori dal finestrino ho visto un cartellone pubblicitario che diceva “Tuo padre sta morendo, chiama a casa”».

Inquietante!
«No. In quel momento ho solo pensato che fosse una coincidenza divina».

Tra le innocenti manie del suo personaggio c'è il baseball. Noi europei fatichiamo a star dietro a regole e punteggi di questo sport, per non dire della sua «epica».
«È come il calcio per voi.

La gente ci si ammala e soprattutto ne fa una questione identitaria. Però il baseball è il più antico dei nostri sport. La sua storia è intrecciata a quella del Paese. Quindi le metafore tratte da questo gioco - pensi a DeLillo o Roth - riguardano tutti noi».

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