Il mondo del libro sta parecchio male. E anche Gian Arturo Ferrari non se la passa tanto bene. Ha detto che l'Italia dell'editoria non conta più nulla, e i suoi «colleghi» lo stanno massacrando a colpi di editoriali, interviste, appelli...
L'ultimo giorno della Buchmesse di Francoforte, una settimana fa, Ferrari - già grande capo della Mondadori e ora presidente del Centro per il Libro e la lettura (Cepell) - ha affidato al Corriere della sera una scoraggiata riflessione sullo stato (pessimo) dell'editoria italiana... È seguito dibattito. E nel dibattito, progressivamente, i toni si sono alzati parecchio. Contro il povero Gian Arturo. Mentre sulle pagine del «suo» Corriere intervenivano, marcando una certa distanza, Luigi Brioschi (gruppo Guanda) e Stefano Mauri (gruppo Mauri Spagnol), Christian Raimo sul blog minima&moralia gli consigliava di rivolgere la lamentatio contro se stesso, chiedendogli anzi di «passare la mano», cioè lasciare il Centro per il Libro.
Ieri, poi, giornataccia. Sulla «Domenica» del Sole24Ore Giuseppe Laterza - uno che scrive per sé, ma dietro ha un bel pezzo di intellighenzia - ha lanciato un siluro: caro Gian Arturo, gli ha di fatto detto, guarda che in questa catastrofe, tu che hai guidato per anni il maggior gruppo italiano e che ora dirigi un'istituzione pubblica «che dovrebbe esprimere la politica di promozione del libro e della lettura del nostro Paese (ma chi l'ha vista?», hai una responsabilità pesantissima... e vieni a fare la predica a noi? Su Repubblica, invece, in una cronaca dal Forum del Libro di Bari, Simonetta Fiori ricordava la «sorprendente» riflessione dalla Buchmesse e, poco dopo, registrando la dichiarazione di Massimo Bray sull'attività del Centro del Libro, faceva notare la differenza fra la linea del ministro e quella seguita finora da Ferrari. E dato che il secondo dipende dal primo...
Infine, buoni «ultimi», i piccoli editori.
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