Da Obama a García Márquez, da Lino Banfi a Vasco Rossi, passando per Carla Bruni e Alain Delon. Quella dei falsi Twitter è una marea montante. Quasi una moda, perversa e necrofila. Ieri è toccato a Umberto Eco: un falso tweet attribuito alla sua casa editrice storica, la Bompiani, ha annunciato la morte del filosofo e scrittore italiano di fama internazionale. A denunciarlo è stata la stessa casa editrice, che ha immediatamente smentito la notizia circolata sul popolare social network: «È stato creato un falso account twitter Bompiani - si legge nel messaggio - da cui è stata diffusa la falsa notizia della morte di Umberto Eco».
Eco, se in questo caso è diventato il caro estinto, soltanto qualche giorno fa era stato trasformato, a sua insaputa, nel latore di ferali notizie. Da un finto profilo attribuito al semiologo era infatti partito un messaggio che annunciava la morte dello scrittore americano Dan Brown. Un'ondata di retweet ha subito rilanciato la notizia in tutto il mondo, ma ben presto è arrivata la smentita. Il profilo era un fake come si dice in gergo. I casi di questo tipo sono tantissimi: a esempio sempre su Twitter un altro falso profilo, quello del Nobel per la Letteratura Mario Vargas Llosa, comunicava il decesso del suo collega Gabriel García Márquez. Ma c'è anche chi «ammazza» i presidenti. Tra i falsi tweet più catastrofici, quello che ha visto protagonista recentemente l'Associated Press, la più grande agenzia di stampa del mondo: un gruppo hacker si è impossessato del suo profilo Twitter ufficiale. Per qualche istante, il mondo ha creduto che la Casa Bianca fosse sotto attacco e che il presidente Obama fosse gravemente ferito. Risultato: in pochi secondi Wall Street è andata in picchiata.
E lo scorso anno, dopo la sconfitta del presidente francese uscente, Nicolas Sarkozy, in favore del socialista François Hollande, su Twitter imperversavano profili fake dell'ormai ex première dame Carla Bruni. Da segnalare anche la falsa morte dell'attore Alain Delon. Come se non bastasse, c'è chi si mette a giocare con gli smartphone dei giornalisti. È capitato a Enrico Mentana.
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