Il Verdi sincero delle lettere alle amiche di tutta la vita

«Io immagino bene quanto deve essere dolce pel cuore d'una madre come Lei, il veder ben collocati i propri figli. È una consolazione che io non ho provata, (ne ho provate così poco!) ma che avrei sentita profondissimamente. Io la invidio». Giuseppe Verdi non ha ancora compiuto 64 anni. È al sommo della gloria, dopo aver scritto Aida e Messa da Requiem. Pure sotto le congratulazioni di rito a una delle sue più vecchie amiche, la contessa Giuseppina Negroni Morosini Prato, persiste con dolorosa sincerità quel profondo pedale della paternità negata (Verdi perse due figli in tenera età). Ora che il carteggio completo fra Verdi e la nobile famiglia Morosini è stato pubblicato dall'Istituto Nazionale di Studi Verdiani, per la cura di Pietro Montorfani, è possibile seguire il celebre compositore, schivo e inaccessibile, nell'intimità di un rapporto speciale, nello scambio con un'ammiratrice della prima ora, che ancora lo ricordava accompagnare nel suo salotto il librettista Solera.
Con Peppina e Annetta Morosini Verdi dialoga alla pari, soprattutto nei lunghi anni della vecchiaia, contrappuntati da malanni, acciacchi e lutti. Verdi è sempre asciutto, lucido, saggio. Le figlie di Donna Peppina andranno spose ai conti Casati, nella cui celebre Villa di Arcore, la nobildonna fu spesso ospite. Il carteggio, conservato per le lettere verdiane nei preziosi archivi del Museo del Risorgimento di Milano, racconta scene di vita di una famiglia altolocata. Verdi, sempre più rintanato nelle sue terre, sorride quando l'amica nel 1885 lamenta che nessuno ricorda più il sacrificio dei «martiri» del Risorgimento. E descrive la Roma dei governi Depretis, popolata di affaristi «per cui il bene del Paese è l'ultimo dei pensieri». Dopo Falstaff e i Pezzi sacri, Verdi vedovo segue gioie e dolori dell'amica. Nei giorni di lutto preferisce il silenzio alle detestabili condoglianze («la parola stempera, snerva, e distrugge il sentimento! Tutte le esteriorità hanno qualche cosa di poco sentito, e sono una profanazione»). Le sue parole, invece, corrono vivide e diritte senza fronzoli.

Il Gran Vegliardo si concede di passare le acque a Montecatini, dove tutti lo venerano, ma le gambe non lo sorreggono più e la vista gli impedisce il lavoro. Il pessimismo è sovrano: «La vita è dolore!», confessa all'amica. Verdi aveva già predisposto l'ultimo capolavoro: la Casa di riposo per musicisti, dove riposa da 112 anni.

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