Il verso giusto Senza titoloBerberova, zarina dell'«altra Russia»


di Nicola Crocetti


E solo una volta ho sognato
la strada lavata dalle piogge
e i solchi all'ora del tramonto
miseramente nella polvere
e l'onda profonda della segale
e il silenzio sui campi...
Solo una volta. Quanto allora balenò
mi è ora uscito di mente.
E ce n'erano di cose, eccome:
da far impazzire i miei compagni di viaggio.
Loro nelle soffitte, negli scantinati,
nei boschi tedeschi, nelle sale del Louvre
sono pieni di sterile nostalgia.
A me non è accaduto.


(Traduzione di Maurizia Calusio)


Fin da adolescente Nina Berberova decide che la letteratura sarà il suo destino. E fin da adolescente, come tutte le ragazze russe, i suoi idoli sono poeti come Anna Achmatova e Aleksandr Blok. Nota come prosatrice, per tutta la sua lunga vita (nata a Pietroburgo nel 1901, muore a Filadelfia nel 1993) scrive poesie, che pubblica solo sulle riviste degli emigrati russi, prima in Francia, poi negli Stati Uniti, e che in seguito distruggerà in buona parte. Accolta ventenne nell'Unione dei poeti della sua città, fa l'incontro decisivo della sua vita, il poeta Vladislav Chodasevic. Nel 1922 lo sposa e lo segue nell'esilio, a Berlino e a Praga, infine a Parigi, capitale della diaspora russa. Scrive racconti e il romanzo Gli ultimi e i primi, che piace al giovane Nabokov e che la arruola di fatto nell'élite della cultura russa dell'emigrazione.
Separatasi da Chodasevic (ma gli resterà amica fino alla fine), nel '50 si trasferisce negli Stati Uniti, dove insegna e continua a scrivere, soprattutto poesie. Deve aspettare l'85 perché il suo talento sia riconosciuto con il romanzo L'accompagnatrice, scritto mezzo secolo prima, e la fine dell'Urss perché le sue opere siano pubblicate in patria. Vi fa una breve visita solo nell'89, rifiutandosi di vedere i posti della sua giovinezza: «Non si torna mai nel luogo da cui ti caccia la sventura», dice. Testimone eccezionale di un'epoca eccezionale, nelle sue memorie, Il corsivo è mio, rievoca con spietata sincerità fatti e personaggi dell'«altra Russia».

«In noi la memoria è più salda della coscienza», dice un suo verso. Ed è nei versi che riscatta la miserabile realtà dell'esilio e fa i conti con la storia letteraria del suo Paese e dei compagni déracinés «pieni di sterile nostalgia». «A me - dice con orgoglio - non è accaduto».

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