Cultura e Spettacoli

«Ma il web rischia di essere un alveare popolato di servi»

nostro inviato a Torino

Il citizen entra in Parlamento. La politica conosce nuove forme di rappresentanza. Nasce l'e-goverment. La democrazia non è mai stata così diretta e trasparente. Ma è davvero così? Davvero il web è democratico, libero, la faccia presentabile della politica? Vincenzo Latronico, anno anagrafico orwelliano 1984, anno d'esordio narrativo 2008, nativo (quasi) digitale che ha usato il primo modem a 11 anni e intellettuale (molto) 2.0 che al mondo sur-reale della democrazia on-line ha dedicato il romanzo breve, o meglio pamphlet narrativo La mentalità dell'alveare (Bompiani, presentato oggi al Salone), ci dice che forse non è davvero così. J'accuse telematico e insieme memorandum etico, è una storia scritta di getto, pensata in Germania - dove l'autore vive - e ambientata in un'Italia di domani (tra il 2013 e il 2015), troppo simile a quella di oggi, dove nel web i partiti si fanno e si disfano, i politici si followano e si defollowano, i presidenti della Repubblica si votano a colpi di «mi piace» e «non mi piace».
Il web è sinonimo di libertà?
«Insomma... Penso sia libero e dovrebbe restarlo, ma proprio questa libertà determina limiti pesanti. Un picnic è libero, ci fai quello che vuoi. Un'assemblea no, ha delle regole da rispettare. La libertà, che è la caratteristica fondamentale della Rete, la rende adatta ad alcune cose, meno ad altre».
Tipo?
«Beh, gli effetti che la Rete può avere sul dibattito politico sono sotto gli occhi di tutti. Il web è un ambiente in cui la discussione è troppo sbilanciata verso l'accusa piuttosto che la difesa: per calunniare basta un post, per difendersi bisogna scrivere diverse pagine. Che la gente non ha tempo e voglia di leggere».
I profeti del paradiso del Web annunciano un'epoca di democrazia e giustizia. Il suo romanzo avanza qualche dubbio.
«Hanno le loro ragioni: la trasparenza delle decisioni è favorita dall'uso dei social network. Però mi spaventa la catena di trasmissione immediata fra gli umori di un forum e le decisioni che hanno un impatto importante sulla vita della Repubblica. Il capogruppo di un partito non può essere espulso a colpi di “like” su Facebook... È preoccupante».
Che cosa racconta il romanzo?
«È la storia di due simpatizzanti di un partito nato sotto l'insegna della democrazia diretta su Internet, i quali in buona fede, a causa di un uso distorto di Internet, si trovano al centro di uno scaldalo con conseguenze devastanti sulle loro vite pubbliche e private».
La storia di due grillini?
«Una storia ispirata dal grillismo, ma che racconta un possibile futuro più “universale”...».
Il protagonista rilascia un'intervista, equivocata dagli altri simpatizzanti, che scatena in Internet una catastrofe. Kundera raccontò di come per uno scherzo, affidato a una cartolina, nella Cecoslovacchia «sovietica» si poteva finire in carcere. Ma quelli erano Paesi totalitari. Può succedere anche oggi?
«Spero di no. Ma si può creare una situazione in cui individui scrupolosi, che non hanno doppi fini o interessi nascosti, per un semplice travisamento finiscono al centro di una caccia alle streghe. E questo a causa della struttura della comunicazione on-line, che predilige messaggi brevi e toni accesi. La Rete può essere terrificante: non essendoci un'autorità centrale, nessuno può dire: “Basta, questo è innocente!”. E comunque, se qualcuno dice che sei colpevole e altri che sei innocente, rimani sempre “in sospetto” di essere colpevole».
Lei è pessimista sul modello di democrazia diretta, digitale, orizzontale e trasparente dei grillini.
«Potevo esserlo prima delle elezioni, ora basta guardare che cosa sta succedendo... Limitandosi alla politica, la Rete è una risorsa incredibile per offrire un'informazione indipendente e aperta. Però, ripeto, non è un buon luogo per deliberare».
La Rete forse non migliora le persone, ma serve agli scrittori.
«Talmente tanto che non riesco a immaginare la mia vita senza. Non so neppure scrivere in corsivo...

Fatico a pensare la mia vita, di scrittore ma non solo, senza le nuove tecnologie».

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