Da Curi a Bovolenta quando la morte stronca in diretta

Anche Vigor Bovolenta stava giocando. Era stato nella nazionale di pallavolo più forte di tutti i tempi, quella di Julio Velasco, generazione di fenomeni. Il 24 marzo scorso si è accasciato improvvisamente al suolo su un parquet di B2 dopo una battuta. I dottori hanno escluso una relazione con le aritmie che lo avevano costretto a fermarsi per quattro mesi. È la ferita più recente. La memoria parte da Renato Curi, stroncato sotto un diluvio durante Perugia-Juventus del ’77 mentre corre per recuperare una palla che sta rotolando in fallo laterale. Un infarto a 24 anni, oggi a Perugia chi va allo stadio, va al Curi. Il 26 giugno 2003 durante il secondo tempo della semifinale di Confederations Cup tra Camerun e Colombia, Marc Vivien Foè si accascia improvvisamente nel cerchio del centrocampo, sembra solo svenuto, lo trasportano nello spogliatoio, tentano di rianimarlo, muore lì un’ora dopo, a 28 anni. Gli scoprono un ventricolo sinistro sproporzionato, una cardiomiopatia ipertrofica congenita molto diffusa in Africa, un predestinato. Ma secondo alcuni specialisti la presenza di un defibrillatore a bordo campo gli avrebbe salvato la vita. Non si giocava nel terzo mondo ma a Lione, Europa. L’ungherese Miklos Feher, 24 anni, crolla sulle ginocchia, poi anche il tronco si piega, ha appena ricevuto un cartellino giallo. Vitoria-Benfica è in diretta televisiva in tempi in cui non era così diffusa, tutti credono stia tentando di convincere l’arbitro della sua innocenza, ma Miklos in pochi secondi non si muove più, per far entrare un’ambulanza viene demolito un muro di cinta dello stadio, siamo nel 2004, nel frattempo gli viene praticata una rianimazione cardiopolmonare, l’autopsia certifica la morte per fibrillazione ventricolare causata da cardiopatia ipertrofica.
Un mese dopo, il 2 marzo, Andrei Pavitski, un diciottenne dell’Arsenal Kiev, è stroncato in allenamento da una crisi cardiaca, poche settimane prima stesso destino per il suo compagno di squadra Shalva Apkhazava che soffriva di miocardite mai diagnosticata. Al Morumbi di San Paolo, è l’ottobre del 2004, il cuore tradisce Paulo Sergio Oliveira, difensore del San Caetano, sempre in Brasile la tragedia più assurda, il ventinovenne Alex Sandro de Souza Pereira è colpito da un malore durante una gara di campionato, muore subito, la zia presente sugli spalti viene colpita da infarto.
Il 28 agosto 2008 la Spagna è sotto shock, muore Antonio Puerta dopo nove arresti cardiocircolatori, il primo sul prato del Sanchez Pizjuan durante Siviglia-Getafe. Quando i sanitari accorrono c’è un compagno di squadra che gli sta praticando la respirazione bocca a bocca. Antonio si alza, scende con le sue gambe nello spogliatoio, mezz’ora dopo viene messo in ventilazione assistita, presenta instabilità emodinamica. I suoi genitori chiederanno un risarcimento al Siviglia: lo staff medico avrebbe commesso qualche leggerezza negli attimi concitati del suo malore. L’11 febbraio 2008 tocca a Guy Tchingoma, difensore del Football Canon e della sua nazionale. Muore a Libreville a cinque minuti dalla fine del match contro il M’Bila Nziami, destino infame.

É il secondo giocatore del Gabon stroncato da un arresto cardiaco sul campo nel giro di pochi mesi, prima era toccato a Cedric Nono del Mangasport. A Khartoum dopo uno scontro di gioco, Endurance Idahor cade e muore subito, la morte più assurda. La partita era iniziata da un minuto, aveva 25 anni. È solo un elenco stringato, gli assenti ci hanno già perdonato.

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