Roma - Un po’ come nelle processioni dei Misteri, che il Venerdì Santo si svolgono nelle contrade meridionali, Massimo D’Alema e Piero Fassino fanno due passi avanti e uno indietro ogniqualvolta sia necessario esternare a proposito di Irak e di Afghanistan. E delle relazioni con gli Usa.
Ma se in passato il ministro degli Esteri è stato costretto agli equilibrismi dialettici per non scontentare la sinistra radicale, ieri l’invettiva era propedeutica a evitare scollamenti nella confraternita diessina in vista della costituzione del Partito democratico. Bollare il caso Calipari come «un’occasione perduta da parte degli Stati Uniti» è stata quasi una necessità. «La domanda di verità e giustizia - ha aggiunto D’Alema - non ha ancora trovato una risposta adeguata».
Il vicepremier non si è fermato a questa sola constatazione. «È conosciuto il nome di chi avrebbe sparato (Mario Lozano, ndr) - in questo momento al di là della verità ci sarebbe bisogno di giustizia, ma non dipende dal governo italiano tradurre in giudizio l’imputato». La pietra di paragone è rappresentata dalla tragedia del Cermis. «Quando il militare imputato fu assolto, il governo degli Stati Uniti si assunse la responsabilità con un atto che ebbe un grande valore di carattere morale e politico».
A dar manforte al vicepremier è giunto il segretario della Quercia, Piero Fassino, che in un messaggio inviato ai familiari di Calipari ha auspicato «che sia fatta giustizia, che si ricostruisca la verità dei fatti, si accertino e si puniscano responsabilità». La verità così riconquistata, secondo il leader diessino, dovrà restare «incisa nella memoria collettiva del popolo italiano» in ricordo di un «eroe».
Irritato il presidente di An ed ex titolare della Farnesina, Gianfranco Fini. «Non ci vengano a dire oggi - ha replicato da Bari - che noi fummo acquiescenti perché non lo fummo affatto. Ottenemmo una commissione di indagine congiunta perché eravamo un governo amico». I funambolismi, quindi, non hanno senso. «Lezioni dalla sinistra non ne accetto - ha concluso - perché allora noi sentimmo di avere due doveri: tenere fede all’alleanza e tutelare la nostra dignità. Era chiaro che gli Usa non avrebbero concesso l’estradizione perché c’era una divergenza di opinioni».
Perché allora i toni censori di D’Alema? Perché le accuse mosse agli Usa? «Dobbiamo aiutare gli americani a uscire dagli errori che hanno compiuto e di cui via via prendono coscienza», ha spiegato dimenticando volutamente che su dichiarazioni analoghe il suo governo ha affrontato una crisi lunga una settimana. Ma imperterrito il presidente dei Ds ha ribadito che «non c’è rimedio agli errori degli americani senza collaborare con gli americani, senza di loro è inutile: si fa della propaganda».
Con queste parole il cerchio si chiude e le missioni internazionali vengono recuperate alla causa. «Suggerisco a una sinistra molto di sinistra - ha argomentato - che pensa che dobbiamo venire via dall’Afghanistan e lasciare che ritornino al potere quelli che c’erano prima, di leggere» una circolare dei talebani che incita a «uccidere tutte le donne comuniste». Con la stessa nonchalance il vicepremier ha annunciato che il 20 marzo si recherà a New York per discutere le proposte italiane sulla missione civile in Afghanistan e rilanciare al Consiglio di sicurezza dell’Onu il progetto della conferenza di pace.
Così si esplica la politica del paso doble nelle relazioni internazionali: critiche moderate senza rotture. Il correntone di Mussi dovrebbe sentirsi tranquillizzato e gli alleati filoamericani della Margherita non dovrebbero insorgere. C’è un solo problema: Mussi continua a non volere il Pd e i Dl continuano a preoccuparsi.
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