D’Alema l’ultimo amico di Maometto

D’Alema l’ultimo amico di Maometto

Io ho sempre preso molto sul serio Massimo D’Alema, anche perché a memoria d’uomo solo pochi intimi hanno potuto vederlo sorridere o ridere. Questo leader politico incarna, vorremmo dire veste, la serietà quasi antropologicamente: baffi, occhiali, taglio degli abiti, brizzolatura, tutto indica serietà, ancora serietà, e - l’avrete capito - serietà, la quale per definizione suggerisce autorevolezza. E in questa serietà prossima alla cupezza sta l’antica scuola, la genetica mitica del vero Pci del tempo che fu.
E ora con la massima serietà D’Alema dice che Hamas ha ragione, e che Israele ha torto ed è l’aggressore, che Hamas non è un’organizzazione terrorista perché ogni famiglia palestinese ne ha uno di loro in famiglia, che Hamas è stata votata dal popolo e che dunque è un interlocutore politico e militare del conflitto. Ne consegue, come in un teorema, che l’operazione militare israeliana per farla finita una volta e per sempre con il lancio di migliaia di missili, razzi e colpi di mortaio sulle città israeliane (riconosciuta lecita per questo proprio da Obama e dal Congresso americano), non è altro che una «spedizione punitiva», espressione importata dal lessico fascista e dunque parafrasi di un’accusa di fascismo nei confronti di Israele.
D’Alema, da ministro degli Esteri italiano, andò sottobraccio con alcuni esponenti di Hezbollah in Libano (nella foto) e anche allora, serissimo ai confini del funebre, spiegò che Hezbollah fa parte del quadro politico libanese e dunque va considerato come legittimo interlocutore. Ciò ci ricorda la grande tradizione togliattiana dell’attenzione: i veri comunisti della miglior scuola, sono prima di tutto attenti alle forze in campo, e poi alla morale, alle idee, ai principi. Togliatti era fermamente ateo, ma raccomandava la massima attenzione verso cattolici intesi non come forza etica, ma forza in campo, componente della partita che aveva come obiettivo la conquista del governo in Italia. D’Alema non vuole conquistare, almeno che si sappia, il Libano o Gaza, ma ripete egualmente la lezione: tu esisti, tu dimostri di essere una forza dunque io ti riconosco. Dice poi D’Alema che una sproporzione più o meno di 900 palestinesi morti contro dieci israeliani non va chiamata guerra. La serietà implica correttezza lessicale. E infatti quella di Gaza è una operazione militare antiterroristica su vasta scala: se dalla Svizzera piovessero per un anno missili sulla Lombardia, prima o poi un tale inconveniente diventerebbe un problema militare con la simpatica confederazione. Ma per D’Alema questi sono pensieri rozzi adatti agli americani i quali sono i più rozzi di tutti. Noi togliattiani pratichiamo altre logiche.
Quel che a D’Alema sembra sfuggire del tutto è che Hamas cerca a ogni costo di incassare il più alto numero di proprie vittime civili possibile perché intende imporre esattamente la logica che conduce alle conseguenze perfettamente sciorinate da D’Alema il quale sembra non accorgersi che Israele ha tutto l’interesse a uccidere il meno possibile come prova il fatto ch l’Idf telefona in anticipo agli abitanti delle case da colpire perché contengono rampe o mortai, affinché si mettano in salvo.
Ed ecco perché Hamas vuole, al contrario, che tutti muoiano affinché possa subito incassare la provvigione politica delle «sproporzioni» alle quali è sensibile D’Alema, perfettamente adattato alla logica di Hamas. Per limitare le perdite palestinesi Israele allestisce sulla striscia di Gaza ospedali da campo in cui sono curati i feriti e ricovera nei propri ospedali i più gravi.
Diciamo pure che lo fa, oltre che per lo spirito umanitario della religione ebraica che esalta la vita e disprezza il suicidio, anche per un motivo pratico: ridurre al massimo l’aspirazione al martirio di massa di Hamas che persegue dichiaratamente - abbiamo ascoltato comizi di Hamas in questo senso - lo scopo di «produrre morte al livello industriale: noi desideriamo la morte quanto voi israeliani desiderate la vita». E non sono parole insensate o fanatiche o fondamentaliste: sono parole politiche che contano sul fatto che a recepirle ci sia la serietà di D’Alema e di chi me condivide la struttura mentale.
La morte dei bambini è per Hamas la più grande provvista propagandistica. Ho davanti a me le foto dei bambini di Hamas in uniforme a tre anni, con la pistola, il mitra, il volto coperto da vernici, gridare e urlare odio, morte e desiderio di morte. Della propria morte. Ho anche davanti agli occhi i miliziani che marciano facendo il saluto nazista. Sfugge al serissimo D’Alema tutto questo perché a lui importa soltanto sottolineare che una controparte, non importa quanto violenta e sanguinaria, se ha seguito popolare - e Hamas ha addirittura vinto le elezioni battendo il Fatah di cui ha scaraventato in galera o messo al muro i membri - è di per sé legittima, perché democraticamente legittimata.
Forse gli andrebbe ricordato che quando gli alleati fecero strage di cittadini tedeschi ammazzandone a centinaia di migliaia con bombe incendiarie come a Dresda e in altre città, nessuno si intenerì: i tedeschi avevano votato per Hitler, e adesso ne pagavano il fio. I prigionieri tedeschi in mano all’Armata rossa finirono per lo più a fare terra per ceci e nessuno si commosse. Non è questo che vuole Israele, ma la logica della legittimazione democratica ci sembra goffa e insostenibile.
Ci rendiamo conto che è impossibile far capire a D’Alema che lo scopo di Hamas è stato proprio quello di scatenare questa operazione militare israeliana che non poteva essere evitata e che non poteva che comportare una scelta infernale: o concedere ad Hamas il diritto di terrorizzare un’intera nazione costringendola a vivere nei rifugi o passare a un’operazione militare per quanto possibile chirurgica, non terroristica, ritenendo ovvio che il peso morale delle vittime innocenti e specialmente dei bambini deve ricadere su chi ha provocato una reazione di difesa.
Ma a tanta spregiudicatezza logica D’Alema non arriva.

In compenso, venendo meno al suo look severissimo, ha voluto regalarci una stupenda barzelletta quando ha detto davanti alle telecamere di Red che i nostri media, giornali e televisioni, sono quasi tutti nutriti dalla propaganda di Israele. Allora abbiamo veramente riso di gusto tutti, tranne lui, che ha fatto finta di credere alla propria battuta restando impassibile da grande professionista, come Buster Keaton.

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