D’Alema a Veltroni (e Di Pietro) «Giusto arginare certi giudici»

L’ex presidente ds confida ai suoi l’insofferenza al leader dell’Idv

da Roma

Se le aperture di Luciano Violante erano state apprezzate dal centrodestra, ieri dal Pd è arrivato un duro altolà sulla riforma della giustizia.
Berlusconi, dice il vicesegretario Franceschini, «cerca un regolamento dei conti con la magistratura», e il Pd «si opporrà con determinazione». Per il partito veltroniano quello della giustizia è un terreno scivoloso. Da un lato c’è Di Pietro che impazza, minaccia «nuove Tangentopoli» e tuona contro il «piano piduista» di Berlusconi per tagliare le unghie ai magistrati.
Dall’altro un partito che si sente sotto schiaffo per le numerose inchieste aperte, da Genova alla rossa Umbria al Sud fino al clamoroso caso Abruzzo, nelle sue amministrazioni. Ieri Veltroni ha accolto con un sospiro di sollievo la notizia di una lettera di «autosospensione» dal partito di Ottaviano Del Turco (non sollecitata, giurano al loft). «Mi auguro che la respinga - punzecchiava ieri Cossiga - altrimenti si confermerà la mia idea che Veltroni o qualche suo consocio abbia paura dei pm». Il leader del Pd ripete che le eventuali riforme vanno fatte «non contro ma con i magistrati». E anche D’Alema invita Berlusconi a non «infilarsi nella tortuosa strada del conflitto con la giustizia». Anche se non perde occasione di ribadire in pubblico di essere «sempre stato un garantista» a differenza di molti a sinistra. E in privato non ha mai nascosto il suo allarme per gli eccessi di interventismo e protagonismo dei pm. «Berlusconi come al solito esagera, ma che un qualche argine vada posto è vero», confidava nei giorni scorsi a qualche amico di partito. E nei confronti di Di Pietro non nascondeva la sua insofferenza: l’alleanza elettorale è stata «un errore», tutto di Veltroni: «Io - ha raccontato - gli avevo raccomandato di porre a Di Pietro un aut aut: o entri nelle liste del Pd, come hanno accettato di fare i radicali, oppure niente apparentamento». Ma Veltroni ha fatto di testa sua, e D’Alema ha appreso «solo a cose fatte» che invece l’ex pm l’aveva avuta vinta su tutta la linea. Garantendosi così una autonoma forza parlamentare che altrimenti «da solo non avrebbe mai avuto». E a chi gli ricordava di esser stato lui il primo a candidare Di Pietro nel Mugello, D’Alema ha spiegato che quello era l’unico modo per «imbrigliarlo», sventando il pericolo di «derive populiste e para-fasciste» che l’ex pm di Mani pulite, allora ai vertici della popolarità, poteva rappresentare.
La linea del Pd sulla riforma della giustizia, però, resta indefinita. «Non ne abbiamo ancora mai discusso - dice Nicola Latorre - ma di certo è una priorità per Berlusconi, non per il Paese».

E le aperture di Violante su obbligatorietà dell’azione penale e riforma del Csm? «Sono d’accordo: siamo l’unico paese al mondo dove la politica criminale la decidono i magistrati», dice il vice presidente dei deputati Bressa. Ma un dialogo con la maggioranza è difficile: «Berlusconi concepisce il confronto solo come adesione alle sue proposte, che per ora sono solo chiacchiere. Discuteremo quando vedremo un testo».

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