Con D’Avanzo e Woodcock ora è l’Italia la vera Cina

Dal fango di "Repubblica" sulle escort alle perquisizioni ordinate dal pm d’assalto. Così la diffamazione anti Cav punta a diventare il "pensiero unico" nazionale. Altro che regime di Berlusconi. Sono i giustizialisti i veri intolleranti

Con D’Avanzo e Woodcock ora è l’Italia la vera Cina

La vera Cina è l’Italia. L’insisten­za con cui si sostiene un «pensie­ro unico» determina false verità con lo stesso metodo di un regi­me. Gli specialisti in dossier, in killeraggio, in character assassi­nation come Giuseppe D’Avanzo (indimenticata la sua «esecuzio­ne » del magistrato Alberto Di Pi­sa, da lui schiacciato, senza pro­ve, nel ruolo di «corvo») attribui­scono a giornalisti che fanno in­chieste, che documentano fatti e reati di agire su ordine del padro­ne. Dopo mesi di perlustrazione tra le lenzuola studiando i comportamenti del­l e Noemi, D’Addario, Terry De Nicolò, per una ragione o per l’altra attratte da lui (in una dinamica facilmen­te comprensibile) e poi più o meno compiaciute o delu­se, non avendo ottenuto al­cun risultato se non un ge­nerico «sputtanamento» (inevitabile, vista la mate­ria), ecco la fase del D’Avanzo 2 all’attacco di colleghi giornalisti in mo­do vergognoso all’insegna d i «così colpisce l a fabbrica dei dossier al servizio del Cavaliere», i n ripetitivi edi­toriali. La plumbea e poli­ziesca prosa del D’Avanzo, priva di verità e di argomen­ti, fa rimpiangere la diaboli­ca e spiritosa sottigliezza, anche nella malignità e nel­la menzogna, di Travaglio. Il quale è più fazioso che moralista. D’Avanzo, da buon poliziotto, agisce di concerto con i magistrati ed ecco il metodo cinese. Mentre viene proclamato premio Nobel il dissidente Liu Xiaobo, i pubblici mini­steri Vincenzo Piscitella e Henry John Woodcock invi­ano i carabinieri a seque­strare i supposti dossier sul­la Marcegaglia perquisen­do gli uffici del Giornale e le abitazioni private del di­rettore Sallusti e del vicedi­rettore Porro. Sulla legitti­ma attività giornalistica d’inchiesta, D’Avanzo non ha dubbi: non c’è la firma dei «colleghi» Sallusti e Por­ro, ma c’è «la firma del Ca­valiere » (editoriale di D’Avanzo di sabato 9 otto­bre). Naturalmente i dos­sier non esistono e quando sul Giornale di ieri si legge che la conclusione (rapi­da) della vicenda non iden­­tifica «signori dei dossier» (editoriale di D’Avanzo di venerdì 8 ottobre, con fre­quenza ossessiva e contu­melie verso i «colleghi» ser­vi), m a l’ambiguità delle re­azioni e dei comportamen­ti di Rinaldo Arpisella (che si dice vittima del Giornale e minaccia Panorama ), il portavoce di Confindu­stria viene cacciato dalla Marcegaglia, che lo rimuo­v e dall’incarico. Il comuni­cato, che suona come una sentenza, ci fa sapere che Arpisella «tornerà a occu­parsi a tempo pieno del­l’azienda di famiglia, che è in un momento di grande espansione e ha bisogno del suo lavoro». Una noti­zia clamorosa: la «vittima» Arpisella non è più portavo­ce della presidente di Con­findustria. Ma non ne tro­viamo traccia nelle prime pagine dei giornali che af­fiancano il regime, in que­sta nostra Cina. Leggiamo invece, sui dossier che non esistono: «Marcegaglia: non mi piego». Non si sa a che cosa. Intanto sul giornale d i re­gime escono altre storie esemplari. Il professore che mette i n dubbio l a Sho­ah per il quale si chiedono punizioni esemplari, i n no­me del pensiero unico che non ammette il pensiero sbagliato e l’esortazione di monsignor Veltroni a sfrat­tare dalla tomba in San­t’Apollinare a Roma il boss della Magliana Renatino De Pedis: immagino per dargli sepoltura in un leta­maio o in un cimitero per maledetti. Ogni giorno il pensiero unico s i manifesta con pro­v e di arroganza e di intolle­ranza che non prevedono reazioni. Intanto la magi­stratura si mette a disposi­zione di chi fa campagne diffamatorie attribuendo­n e a d altri il metodo. Esem­plare i n questo senso il «ca­s o Boffo». Feltri viene accu­sato di aver agito in modo scorretto. Ma si dimentica il dato sostanziale. L a Chie­sa manifesta da sempre la sua avversità per le unioni gay, i vescovi deprecano il costume che indulge vero la legittimazione del mon­do omosessuale. Su questa linea è, evidentemente, il giornale della Cei, l’Avveni­re . Qualcuno lo immagine­rebbe diretto d a Alfonso Si­gnorini? Dunque la que­stione non è quello che scri­ve Feltri, ma se il direttore dell’ Avvenire sia o meno (per comportamenti e per processi) gay. La vicenda fi­nisce come quella Marce­gaglia. Arpisella va a casa, Boffo va a casa. Colpa di Fel­tri o di quel particolare che evidenzia la contraddizio­ne? Ma Woodcock è in ag­guato, da tempo. Gli piac­ciono i cattivi. E d ecco allo­ra la vicenda di Vittorio Emanuele, assolto per non aver commesso il fatto dal­le accuse della Procura di Potenza nell’inchiesta pro­mossa da Woodcock. Ed ec­co l’accanimento su Fabri­zio Corona, specialista in gossip, e trasformato in una specie di Diabolik, di cui la magistratura sente la necessità di far sapere, at­traverso la pubblicazione dei verbali, che è stato amante di Lele Mora. An­che questo un dossier? Nel frattempo Vittorio Ema­nuele si sfoga: «Ci ho pensa­to tante volte. Picchiarlo? Sì, ok. Lo ammetto. Ci ho pensato, m a non posso far­lo. Solo per u n motivo: per­ché sono molto più alto di lui e non sarebbe giusto e poi farei il suo gioco. I riflet­tori tornerebbero ad accen­dersi su questa persona, che vive solo di questo, e non avrei voglia di fargli u n altro regalo». Adesso Woodcock è arri­vato a Sallusti e a Porro. Ha pensato bene, per la rile­vanza del reato, di sottopor­li a una perquisizione per­sonale. I n sostanza h a mes­so loro le mani addosso e ha tentato di ostacolare la libertà d’informazione, con l’intimidazione del­l’azione giudiziaria.

Non è questa la Cina? Non è qui che si paga la libertà di pen­siero e bisogna stare atten­ti a dire la verità? M a il pen­siero unico ha stabilito: Bof­fo non è gay anche se è gay; la casa d i Montecarlo non è di Tulliani anche se Tullia­ni, chissà perché, la abita; la Marcegaglia è Giovanna d’Arco e il premier le ha aiz­zato contro Sallusti e Por­ro perché non h a accetta­t o d i fare il ministro per l o Sviluppo economico. In­genuo ad averglielo chie­sto. Non aveva capito che non s i sarebbe «piegata» a fare il ministro. U n vero e proprio insulto. Benedet­to Croce e Guido Carli sì. Servi.  

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