Gianandrea Zagato
Al civico 9 di via Lecco non c’è un’anima che vuole lavorare. Gli immigrati africani che occupano abusivamente quello stabile non accettano nemmeno che il Comune gli offra un corso di lingua italiana né un tetto sopra la testa. Rifiutano che la Milano delle Istituzioni tenda loro una mano.
Atteggiamento che non può non sorprendere, osservano da Palazzo Marino: «Due ore di colloquio con una delegazione che non sapeva una parola d’italiano. Centoventi minuti all’insegna della massima disponibilità, con tanto di mediatore culturale pronto a tradurre ogni richiesta e ogni offerta. Ma la risposta attesa non c’è stata. L’unica registrata è che, loro, quei duecentosessanta e passa immigrati pretendono d’avere solo “diritti”» dice Tiziana Maiolo. Annotazione dell’assessore ai Servizi sociali che, ieri mattina, si è spesa per una soluzione concreta all’illegalità, «impegno di un percorso di integrazione immediato rifiutato perché considerato insoddisfacente: loro volevano una casa, reclamavano un alloggio popolare come se ne avessero diritto perché in graduatoria. Richiesta di chi, evidentemente, crede di godere solo di diritti essendo titolare dello status giuridico di rifugiato. Pretesa errata perché ha anche doveri e non è affatto titolare di maggiori diritti rispetto ai milanesi che pazientemente attendono una casa». Virgolettati, quelli dell’assessore, dettati con l’amarezza di chi registra l’indisponibilità a trattare.
Quella che a parole, ma solo a parole era sostenuta dal centrosinistra, «quando non era impegnato in pantomine demagogiche con la scopa in mano» chiosa Guido Manca, assessore alla Sicurezza. Già, non è difficile scoprire che dietro quest’occupazione di via Lecco c’è una chiara regia della sinistra: tutti gli occupanti sono infatti regolari e con tanto di documenti registrati da prefetture del Sud Italia; tutti gli abusivi sono arrivati nel capoluogo lombardo da pochi giorni seguendo il tam tam dei centri sociali che vogliono aumentare i disagi e porre in primo piano il problema della solidarietà; tutti gli immigrati sono, infine, disposti a praticare e quindi esaltare il valore dell’illegalità. Dati di fatto che hanno spinto l’amministrazione comunale a reclamare lo sgombero, l’intervento delle forze dell’ordine - «abbiamo sollecitato un’azione risolutiva del problema» fa sapere Manca - trattandosi di «un’occupazione non più diversa dalle altre, dopo il rifiuto delle offerte fatte dal Comune: non c’è niente di diverso rispetto agli altri assalti ad edifici privati disabitati, con tutte le conseguenze penali di un reato commesso, in questo caso, a due passi dal cuore di Milano» ricorda Riccardo De Corato.
Memoria del vicesindaco contestata dal diessino Filippo Penati: «Un Paese civile riconosce e tutela i diritti dei rifugiati politici e si fa carico di garantire loro condizioni civili di permanenza nel Paese». Uscita pre-elettorale del presidente della Provincia che di fatto, ignorando le posizioni del Comune, sceglie di arroccarsi a sostegno dell’illegalità, che tanto piace a Rifondazione comunista. I colonnelli milanesi di Fausto Bertinotti sono infatti pronti a respingere «quell’azione di forza che nulla risolverebbe e che semplicemente rigetterebbe gli uomini e le donne di via Lecco nell’invisibilità e nell’abbandono».
Scelta palese di giocare sulla pelle di un gruppo di rifugiati che non conoscono una parola d’italiano e strumentalizzarne il bisogno sapendo «che non esisterà un caso Cofferati a Milano ma solo un avversario politico che è la Casa delle libertà» dicono dalla Margherita.
Come dire: il centrosinistra cambia nome ma non si vergogna di quello che è. E nemmeno dei pellegrinaggi elettorali al 9 di via Lecco, con scopa alla mano.
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