Dagli Usa all’Italia per imparare cos’è il modello Cl e come esportarlo

Un sociologo della Notre Dame University scandaglia i padiglioni armato di questionari e test: «Un movimento così da noi non esiste»

nostro inviato a Rimini
Lui è l’uomo che potrà spiegarci i ciellini. Si aggira da tre giorni tra i padiglioni, passo incerto, occhio clinico e cognome impronunciabile. Sì, il Meeting ha aperto i battenti solo ieri, vero. Però lui si è portato avanti. Il lui in questione è Brandon Vaidyanathan, un dottorando della Notre Dame University dell’Indiana (e indiano di origine) che da giovedì zampetta tra i tremila volontari con voce da cartone animato, questionari bianchi e domande illuminanti. Vuole studiare Cl, scriverci una tesi di sociologia, e magari importare le due consonanti negli States. D’altronde anche Newsweek ha sollevato un polverone con la sua lente di ingrandimento fissata sulla politica italiana. Oltreoceano ci guardano e ci analizzano. Perché laggiù - tra presbiteriani e reverendi di origine irlandese - una roba del genere non la immaginano: «Da noi ci sono i fondamentalisti che respingono la società e la modernità, gli attivisti del picchetto e quelli che riducono tutto a cultura: ma un movimento del genere, in cui si interviene in tutti i campi della società dall’arte alla solidarietà, è difficile da immaginare».
Già, perché i quarantenni in sandali e calzini che ciabattano accanto a schiere di bambini, le adolescenti che passano il mocio per pulire qualche gelato invece di rosolare sotto il sole e gli sguardi dei manzetti sulle spiagge, le coppie che si tengono per mano mentre ascoltano una conferenza sulla primavera di Praga, non si possono spiegare così. Ci vuole un sociologo. O almeno uno che studia per diventarlo: «I ragazzi di Cl negli Usa provavano a spiegarmeli, ma ho dovuto venire di persona per rendermene conto».
Eppure non tutto è scivolato liscio sulla pelle di Brandon. Due cose hanno minato le forti convinzioni del giovane scienziato umano made in Usa che vaga con i suoi moduli precompilati. Chiede se questa sia una manifestazione religiosa, e tutti lo mandano sonoramente a quel Paese. E il povero si scervella, ci passa le notti a formulare teorie. Questo movimento l’ha fondato un prete, no? E il messaggio di apertura lo declama un cardinale. E si cantano canti di alleluia e si parla di spirito, morale, Chiesa. Dunque sarà “religious stuff”. E invece no. «Mi rispondono che la molla è l’amicizia, che questa è la loro casa, che la religione è subentrata dopo». Tutti gli sorridono in faccia e cercano di spiegargli che migliaia di persone che rincorrono la propria curiosità tra le fotografie di ceffi incarcerati e una tavola calda di Navarra dove i camerieri volano più veloci dei tori di Pamplona non è religione. Umanità, varietà, identità. Qualcosa che abbia un accento, da indossare come un cappello con le piume che ti renda diverso, protagonista come vuole il titolo della kermesse.
Brandon comincia a capire quando intravede i lavoratori “sem terra” brasiliani che sono confluiti in Cl raccontare la loro esperienza di sindacalisti, amici di Lula, viaggiatori, amici del Meeting; quando si lascia travolgere dalla folla che impara l’educazione al gusto in «Il posto a tavola», tra molto grana padano e pochi alcolici, che comunque la temperanza qui è virtù che va forte (oddio, si fuma come delle vecchie Alfa Sud a dire il vero, ma le sigarette mica son peccato). Questa è un’immersione nella vita normale. Però un’altra cosa Brandon non digerisce. «Non nominano Cristo!». E già, non lo senti quasi mai. Lo percepisci nei banconi della libreria, tra i titoli di costa; qualcuno lo vede anche negli assordanti bambini che giocano a frisbee negli angoli mentre i genitori si fanno aria con il programma della festa. Di sicuro sarà stato pure tra le biciclette e le motorette che hanno scorrazzato tra i castelli malatestiani. Quelli nell’Indiana non ci sono, e forse manca anche qualcos’altro: «Non so se la società americana è pronta per un fenomeno del genere.

Servono un’interazione e una forza di spirito straordinarie: da noi è considerato un evento che un presidente sia cattolico. Però anche vent’anni fa qui in Italia Cl sembrava bizzarra. Poi è diventato questo. Magari anche negli Stati Uniti andrà così». Dài Brandon, che poi ci mandiamo i nostri dottorandi a studiare il meeting di Notre Dame.

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