Ma che sabato è stato mai questo? Ma che partita abbiamo visto? Tre espulsi, un autogol, una rete annullata per fuorigioco, uno azzoppato allala, come ai tempi di un calcio che non cè più. Pareggio di gol ma anche di emozioni, di passioni, di rabbia, di rimpianti, di strilli.
Dopo i coriandoli della festa al Ghana ecco subito la pastiglia al cianuro, veleno imprevisto ma improvviso. Come sempre dal girotondo al funerale. I titoloni dei giornali di ieri sono carta straccia, leuforia della vigilia diventa amara riflessione del dopo, il violinista Gilardino sembrava preannunciare musica soave e grande prova dorchestra. Le corde troppo tese sono saltate, fine della sinfonia, sono arrivate le stecche, poi i fischi e la paura, le cose tipiche del nostro repertorio internazionale. Sofferenza continua, arrembaggio, il cuore oltre lostacolo nove contro dieci, anzi contro nove e mezzo, Perrotta eroico, gli altri a sudare e a remare, noi con loro, venti, venticinque milioni di italiani a spingere davanti al televisore, a calciare palloni virtuali, immaginari, cercando di cambiare posizione sulla sedia, di ritrovare lo stesso schema amuleto contro il Ghana.
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