Insulti, parolacce, contestazioni fanno parte del bagaglio di ogni buon arbitro che si rispetti, ma le minacce di morte, quelle no, non sono assolutamente previste in una partita di calcio. Chissà come deve essersi sentito il signor Turienzo Alvarez, sabato scorso arbitro della gara di Liga tra Santander e Real Madrid, conclusasi con la sconfitta della squadra di Fabio Capello per 2-1. Aspramente criticato per alcune decisioni che hanno condizionato la partita, i due rigori assegnati ai padroni di casa (78 e 90) e le espulsioni dei madrileni Ivan Helguera (87) e Alvaro Mejia (90), il coraggioso Alvarez (ma come si fa a fischiare due penalty e due rossi contro il grande Real?) sè ritrovato il telefono subissato da insulti e, questa è la cosa davvero grave, anche da minacce di morte.
Al punto che Turienzo Alvarez è stato costretto a sporgere denuncia presso il tribunale di Leon, dove risiede, per le oltre 50 telefonate con minaccie di morte ricevute. «Mi piace fare larbitro, è un lavoro che svolgo con onore e dignità, ma ho una famiglia e così è dura andare avanti. E stiamo solo parlando di calcio...», le amare considerazioni del fischietto spagnolo. «Martedì mia figlia di 6 anni è tornata dal parco piangendo. I bambini mi hanno detto che hai dato fastidio al Real Madrid, mi ha detto. E io mi sento a terra per questo motivo. Non è giusto, non ho giustiziato nessuno. Ho solo fatto quello che ritenevo giusto secondo la mia coscienza e applicando il regolamento. Da un paio di giorni non vivo più e, dopo le minacce, mi guardo continuamente intorno».
Il Real, dopo aver duramente attaccato larbitro al termine della gara, paventando anche una sorta di «mano nera» per far vincere il titolo al Barcellona, ha fatto marcia indietro e ha fermamente condannato gli autori delle minacce.