Dialogo sì, ma solo a patto di discutere dargomenti concreti. Il Dalai Lama non si tira indietro, accoglie di buon grado la prima offerta di dialogo cinese dopo la spietata repressione della rivolta di Lhasa, ma si guarda ben dallaccettare al buio. Lui che i cinesi li conosce bene conosce anche i rischi nascosti in quellofferta. Sa che regalare un sì senza aver prima concordato gli argomenti sarebbe come infilarsi in un labirinto dincontri inconcludenti per la causa tibetana, ma indispensabili a Pechino per esibire un volto disponibile e aperto alla trattativa.
La risposta della massima autorità spirituale tibetana è, dunque, un sì attento e condizionato. «Dobbiamo senza dubbio esplorare la causa dei problemi e cercare soluzioni attraverso il dialogo, ma dobbiamo soprattutto capire come ridimensionare il risentimento di chi oggi vive in Tibet», spiega il Dalai Lama appena rientrato al suo quartier generale indiano di Dharmsala dopo un viaggio di due settimane negli Stati Uniti. «Ma sarebbe totalmente insensato da parte nostra - aggiunge il Dalai Lama - dare il via agli incontri soltanto per metterli nella condizione di raccontare al mondo che hanno acconsentito al dialogo».
Mentre il Dalai Lama invita alla prudenza, il presidente del Comitato Olimpico Internazionale Jacques Rogge continua a offrire totale fiducia e incondizionato appoggio alle autorità di Pechino. A dar retta a Mister Olimpiadi, intervistato ieri dal Financial Times, lopinione pubblica internazionale non deve biasimare lo scarso rispetto di Pechino per i diritti umani, ma la propria incapacità di comprendere le complesse problematiche cinesi. «Dopo la Rivoluzione Francese noi abbiamo avuto 200 anni per evolverci, mentre la Cina ha incominciato soltanto nel 1949», spiega Rogge ricordando che la fine dei regimi coloniali risale soltanto a 40 anni fa e «dovremmo dunque esibire un po più di modestia». Mentre i cinesi simpegnano lOccidente continua, secondo il Rogge-pensiero, a intestardirsi su particolari irrilevanti come gli arresti e le uccisioni nel Tibet, le incarcerazioni di dissidenti, i campi di lavoro e la censura imposta alla rete. Tutte bagattelle di cui a dar retta al capo del Cio, sarebbe meglio tacere perché «il più grande sbaglio della gente in occidente» è pensare di concludere qualcosa mettendo Pechino di fronte alle sue responsabilità. «In Cina alzando la voce non ottieni un bel niente», avverte Rogge esibendo, invece, fiducia incondizionata nella potenza educativa delle «sue» Olimpiadi. «I Giochi dal nostro punto di vista avranno un buon influsso sullevoluzione sociale della Cina e gli stessi cinesi - spiega - lo hanno già ammesso».
I giapponesi della città di Nagano, che evidentemente non avevano letto lintervista di Rogge, hanno dimostrato nel frattempo di esser pronti a ripetere gli stessi errori occidentali contestando la staffetta olimpica e tentando di bloccare il percorso della fiaccola. Centinaia di nazionalisti anticinesi che sventolavano le bandiere imperiali giapponesi hanno lanciato pattume, uova e petardi contro la staffetta. Neppure il dispiegamento di tremila agenti e di un livello di sicurezza simile a quello riservato al passaggio dell'imperatore Akihito sono insomma bastati ad evitare violenze e contestazioni lungo il percorso della fiaccola. Durante i disordini tre manifestanti sono stati arrestati per aver cercato di strappare la torcia dalle mani dei tedofori.
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