Dall’adriamicina alla nascita dell’oncologia medica a Milano

«Volevo dare battaglia al cancro. E con questo spirito è cominciata la mia storia e quella di una squadra straordinaria». Così Gianni Bonadonna, oncologo di fama mondiale, primario emerito della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (Int) e presidente della Fondazione Michelangelo Onlus, scrive nella premessa del suo ultimo libro «Una guerra da vincere» (Editore Guerrini e Associati, 2010, pagine 304).
Nel volume sono raccolti contributi di oltre venti protagonisti della ricerca e della cura dell’Istituto Nazionale dei Tumori, che rievocando esperienze personali, fanno soprattutto il punto sugli avanzamenti dell ’oncologia in ambito diagnostico, chirurgico e farmacologico. Tante battaglie combattute contro il cancro, condotte da una straordinaria squadra, costruita nel tempo da Bonadonna ed alla quale va il merito di aver contribuito, negli ultimi 30 anni, a far diventare l’Istituto dei Tumori di Milano, eccellenza oncologica a livello mondiale. Qualche numero per sottolineare quanto la struttura di via Venezian, oggi più che mai, sia un punto di riferimento nella cura del cancro: il 37 per cento dei pazienti in cura arriva da fuori regione e il 15 per cento dei bambini, colpiti da patologie oncologiche e provenienti da tutta Italia, passa dall’oncologia pediatrica dell’Int.
A Bonadonna va il merito delle ricerche riguardanti le prime valutazioni cliniche sull’efficacia dell’adriamicina (a fine anni ’60), oltre a vari studi sulla chemioterapia adiuvante nel carcinoma mammario e nel trattamento del linfoma di Hodgkin. «Ma il suo contributo più grande lo ha dato con i suoi insegnamenti sul rapporto medico-paziente e sui limiti della moderna organizzazione», sottolinea Gerolamo Corno, direttore generale della Fondazione IRCSS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (nella foto). «L’umanizzazione verso il paziente e il lavoro di squadra, sono elementi che da sempre connotano il nostro Istituto a livello scientifico. Importante però è anche immedesimarsi nel ruolo del paziente, per meglio capire i suoi disagi, le sofferenze e cercare soluzioni per ridurgli al minimo le difficoltà.

In merito l’Istituto ha recentemente deciso di realizzare un residence in un immobile attiguo, affinché il paziente durante il ciclo di terapia possa soggiornare con i suoi cari e avere meno inconvenienti ed esborsi importanti». Anche il personale all’Int è sensibilizzato all’accoglienza. I progetti di formazione, attivi, sono circa 200.

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