Dall’asino di Canetti al bastardino di Mann

Ricalca il monologo di Shylock il passo con cui Raffaele La Capria introduce il lettore nel suo Guappo e altri animali, volume che raccoglie i brani dedicati dallo scrittore partenopeo, nella sua lunga carriera, ai «bruti», alle bestie che non parlano: «Sento che ognuno degli animali presenti in queste pagine mi somiglia; lo riconosco mio simile in tanti aspetti; e credo che ami gioisca o patisca, che se ha fame soffra la fame e se viene ferito sanguini». Non è, questo dell’animale frère et semblable, tema innocuo: al contrario, caratterizza una tradizione beffarda ed empia che da Pirrone e Sesto giunge fino a Montaigne, nonché al Voltaire citato in esergo («gli animali, nostri compagni nell'avventura ignota...»). E infatti dogmatici e protervi d’ogni risma, per una ragione o per l’altra, hanno sempre biasimato l’eccesso di commercio tra uomini ed animali. «Possiede un cane», recitava sprezzante la scheda della polizia segreta di Stalin dedicata a Bulgakov.
La fratellanza uomo-animale però non deve lasciare in ombra gli altri moduli di cui La Capria si serve. Intanto quello, a tutta prima antitetico, dell’animale come preda, al quale dobbiamo pagine celeberrime. A cominciare dallo splendido ritmo di paternoster che in Ferito a morte dà inizio all’inseguimento della spigola: quanti saremo, a cinquant’anni dalla sua pubblicazione, ad averlo imparato a memoria? «Quell’ombra grigia profilata nell’azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come una fortezza volante quando la vedi sbucare ancora silenziosa nel cerchio tranquillo del mattino. L’occhio fisso, di celluloide, il rilievo delle squame, la testa corrucciata di una maschera cinese...» e quel che segue, finché la fiocina cade inutile sul fondo e gli «oscuri corridoi sottomarini» si trasformano nel salotto di casa, quasi ad assimilare fallimento e buone cose di pessimo gusto, sconfitta e angustia borghese.
Ma i cani, i gabbiani e gli altri animali hanno un’ulteriore valenza, più triste e profonda. Una valenza che affiora quando massima, anche se nascosta tra le pieghe del testo, è la comunicazione tra La Capria e la letteratura mondiale: quando appare il mattatoio di Coetzee e il suo «peccato originario». Quando il ciuco intravisto in Egitto richiama l’asino di Canetti, il bastardino Guappo il meticcio di Mann e le vene pulsanti del polpo, «viscida orchidea di carne», l’orrore che coglie il protagonista del Re della pioggia di Bellow di fronte al cristallo dell’acquario. Allora gli animali si rivelano la cattiva coscienza della Bella Giornata, l’ossido che incupisce il medaglione. Attraverso la gravità della loro materia biologica, per esempio; la loro mortalità. E attraverso la loro cattività, che testimonia nientemeno che l’ineliminabilità della schiavitù.


O, se si preferisce una lettura meno drammatica, della gerarchia delle felicità che divide gli uomini, e che l’oppressione con cui gli uomini avviliscono gli animali non cessa di rievocare.

Raffaele La Capria, Guappo e altri animali (Mondadori, pagg. 130, euro 16,50).

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