Cultura e Spettacoli

Dall'archivio di Hemingway spuntano le lettere della sua «lolita» italiana

Dalla sistemazione dei documenti appartenuti allo scrittore americano e conservati all'Avana emergono nuovi particolari sulla sua relazione con Adriana Ivancich, la nobildonna veneta della quale si innamorò follemente nel 1948. E forse non fu solo un amore platonico...

Forse ora si potrà sapere qualcosa in più su una delle relazioni più tormentate e misteriose della letteratura del Novecento. Dall'immenso archivio (quasi 10mila documenti) in fase di digitalizzazione conservato a Finga Vigia, per vent'anni residenza di Ernest Hemingway all'Avana, stanno per uscire nuove rivelazioni sul suo rapporto con Adriana Ivancich (1929-1983), la nobildonna veneta della quale lo scrittore americano s'innamorò follemente per un breve periodo della sua vita e che ospitò per qualche mese nella sua casa all'Avana, dove oggi si trovano le lettere dell'italiana. Adriana Ivancich discendeva da una famiglia di origine dalmata trasferitasi nel corso del XIX° secolo a Venezia, conobbe Hemingway nel 1948, quando lo scrittore si trovava in Italia con la moglie, Mary Welsh: fu durante un week-end in cui cacciava anatre, nel Veneto. Lei aveva 19 anni, lui quasi 50. Dopo averla frequentata per diversi mesi, Hemingway la invitò nella sua casa a Cuba, proponendole poi anche un lungo viaggio per l'America. L'opposizione della madre di Adriana costrinse alla fine Hemingway ad abbandonare l'idea. Quello che è noto è che Hemingway si ispirò ad Adriana per il personaggio di Renata del suo romanzo «Di là dal fiume e tra gli alberi», ambientato in Veneto e uscito nel 1950 (in Italia lo stesso Hemingway ne vietò la pubblicazione per due anni, proprio per tutelare la Ivancich dal possibile scandalo che avrebbero potuto suscitare i palesi riferimenti presenti nel libro): e infatti da noi il romanzo suscitò comunque scalpore anche se in realtà apparve solo nel 1965. La stessa Adriana Ivancich (che si tolse la vita a Orbetello nel marzo del 1983) scrisse un libro di memorie, «La torre bianca» (Mondadori, 1980), nel quale raccontò i dettagli della sua lunga frequentazione con lo scrittore.
Dalle lettere ora digitalizzate firmate dalla Ivancich - la quale scriveva in italiano, inglese e spagnolo - si deduce che Hemingway provava un amore paterno per Adriana ma allo stesso tempo lei gli serviva da sostegno nelle sue frequenti crisi (la biografia del premio Nobel scritta da David Sandison include una confessione dello scrittore alla giovane veneta: «Se non sapessi che mi diresti di no, ti chiederei di sposarmi»). «Papa dear, of course you will have Nobel Price», gli scrive una volta incoraggiandolo Adriana, la quale, come tutti, lo chiamava «Papa» e che in una foto appare appoggiata al divano accanto allo scrittore, seduto e vestito con la giacca, una abitudine per lui molto rara. «Ti voglio bene, Papa (...). Per voler bene, nel senso italiano, ci vuole amicizia, tenerezza, affetto, bisogno reciproco, stima (...)», scrive da Venezia Adriana e lo ringrazia «di tutto cuore per quello che hai fatto, che fai e che farai, sia con il cuore, con la fede, con i dollari...». Questo perché Hemingway inviava spesso dei soldi a Adriana - a cui scriveva una volta al giorno, a volte due - a Venezia. Spesso «un mucchio di dollari alto come il Kilimangiaro», scrive la gentildonna.
Secondo il fratello di Adriana - Gianfranco Ivancich - Hemingway e Adriana vissero un amore platonico. Ma secondo Ada Rosa Alfonso, direttrice della casa museo Hemingway all'Avana: «Da come lo scrittore plasma Renata, l'alter ego di Adriana, io credo sia più di un amore platonico.

Stimo che sia stato un amore appassionato e tenero, se non carnale».

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