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Dalle «convergenze parallele» alla «maggioranza variabile»

Correvano gli anni Sessanta: i socialisti erano appena entrati al governo dando vita al primo «centrosinistra». Ma già, in alcuni settori della Dc, si lavorava pensando a «equilibri più avanzati». Si voleva cioè annettere anche il Pci alla guida del Paese. Per tranquillizzare i più reticenti venne creato lo slogan delle «convergenze parallele». Voleva dire che si poteva anche collaborare con i comunisti ma che mai e poi mai sarebbero andati al governo del Paese. Abbiamo visto! Ora i comunisti al governo ce li abbiamo e, a quanto pare, a loro piace molto. Tant’è vero che vorrebbero rimanerci anche senza avere i numeri e malgrado le distanze siderali che separano le varie anime del governo. Ecco quindi che si inizia a parlare di «maggioranza variabile». Significa che comunisti e soci formano il governo e occupano militarmente ogni posizione di potere. Dalle più alte sino alle presidenze delle bocciofile. In questa visione il ruolo dell’opposizione è molto chiaro: fornire i voti alla scombiccherata compagine di governo ogniqualvolta, per i più svariati motivi, questo non è in grado di far da sola.

Da tutto ciò si evince che «equilibri più avanzati», «convergenze parallele», e «maggioranze variabili» sono solamente escamotage per confondere le idee agli elettori e per occultare una realtà scomoda: l’Italia è l’unico Paese occidentale ancora alle prese con un comunismo che, anziché passare la mano, si abbarbica pervicacemente al governo.

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