Acclamata da molti (compresa Simona Ventura) come la sorpresa della campagna elettorale. L'unica donna che ambisce a Palazzo Chigi buca lo schermo, dicono. Acchiappa. Prende. Conquista. Il suo volto teso, in bianco e nero, incollato sui giganteschi tabelloni pubblicitari ti tormenta; la sua occhiata di traverso tramortisce; il suo tacco a spillo non lascia scampo. Era la candidata meno attesa, nessuno alla vigilia pensava che lei, Storace e Buontempo tagliassero i ponti con il centrodestra. Invece la frattura con Gianfranco Fini è stata fatale. E la regina dei salotti si è trasformata in una capopopolo in tailleur scuro, diventando «il miglior uomo del mio partito», e infatti Storace chi se lo ricorda. Ha condotto una campagna elettorale contro tutti, contro Veltroni («mi fa ribrezzo come uomo e come politico») e Casini, ma soprattutto contro Berlusconi, Fini e la Mussolini: indimenticabili le sanguinose rasoiate reciproche tra le due lady nere durante il faccia a faccia a «Porta a porta». Sei una valletta di Fini, e tu politicamente orizzontale, tuo nonno si rivolta nella tomba, taci tu e torna al Billionaire. Polemica, aggressiva, onnipresente, straripante, la Santanchè ha presentato un programma di 10 pagine e 15 paragrafi, che però ha condensato in un punto unico. Il mai citato ma sempre sottinteso punto G. Il suo vero slogan non è stato quell'«Io credo», suonato più come un atto di speranza (negli elettori) che di fede, ma «Io non la do».
«Non l'ho mai data per fare carriera», ha confessato a fine febbraio: e da lì è stato un crescendo fino alla condanna senza appello dell'altro giorno. «Berlusconi è ossessionato, ma tanto non gliela do». Quando si dice un politico che parla alla pancia degli elettori, o giù di lì.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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