Un Vate tutto inedito. "Il mio volo su Vienna? Ero pronto al suicidio"

In una bella giornata della primavera del 1921, uno dei fedelissimi di Gabriele D'Annunzio, il giornalista Mario Carli si recò a trovare il Comandante da qualche mese ritiratosi nella casa di Cargnacco destinata a diventare Il Vittoriale degli Italiani.

Un Vate tutto inedito. "Il mio volo su Vienna? Ero pronto al suicidio"

In una bella giornata della primavera del 1921, uno dei fedelissimi di Gabriele D'Annunzio, il giornalista e scrittore Mario Carli, che aveva fondato e diretto il giornale dei legionari fiumani La Testa di Ferro, si recò a trovare il Comandante da qualche mese ritiratosi nella casa di Cargnacco destinata a diventare Il Vittoriale degli Italiani. La visita aveva per scopo di ottenere un avallo del poeta a una nuova iniziativa editoriale, un mensile di «vita, arte, lavoro» intitolato L'Ardente, che Carli aveva in animo di pubblicare affidandone la direzione a Luigi Cipriano Diverio dal quale si era fatto accompagnare.

Quella visita Carli la raccontò in un articolo che avrebbe dovuto essere pubblicato sul primo numero, quello del luglio 1921, della rivista, ma che, conservato negli archivi del Vittoriale, rimase inedito perché bloccato dal Comandante. Carli ne fece pervenire al poeta la bozza di stampa: si trattava di un articolo di colore nel quale, fra l'altro, erano narrati, sotto forma di intervista, il drammatico rientro dell'aereo pilotato da Natale Palli dopo il volo su Vienna e la tentazione di D'Annunzio di suicidarsi per evitare il pericolo di cadere in mani nemiche quando il motore entrò in avaria.

Lette le bozze, il 30 maggio, il poeta scrisse questa lettera: «Mio caro Carli, Le chiedo un sacrifizio all'Amicizia. Ella sa quanto io sia schivo d'interviste e di articoli aneddotici. Speravo che questa volta sarei stato salvato dalla sua eleganza mentale. Io l'ho qui accolta cordialissimamente sempre, con la certezza ch'Ella avrebbe rispettato la mia casa e la mia familiarità. Non posso consentire la pubblicazione di questo articolo. Se L'Ardente lo pubblicasse io dovrei rompere ogni relazione con L'Ardente e con lo scrittore. Fino a che io non sua rassicurato, non posso né permettere la riproduzione della Chiesa né mandare le righe di accompagnamento. Mi perdoni la franchezza: è l'aroma dell'amicizia vera. Il suo Gabriele D'Annunzio».

Carli rassicurò subito per telegramma della «soppressione articolo» e sollecitò l'invio della «dedica promessa» che avrebbe dovuto accompagnare la riproduzione del manoscritto su La Chiesa di Doberdò. E, in effetti, la rivista uscì come aveva voluto il Comandante, con la riproduzione del manoscritto ma senza l'articolo-intervista di Carli, che, come sempre, aveva obbedito senza lamentarsi. La sua devozione a D'Annunzio era, infatti, inossidabile.

Nato nell'ambiente del futurismo, in particolare fiorentino e romano, Carli era stato anche un uomo d'azione. Arruolatosi in un esercito che non lo voleva per la sua miopia, era entrato a far parte dei primi reparti d'assalto degli arditi dei quali avrebbe fondato il giornale e l'associazione nazionale. A Fiume, dove s'era presentato all'improvviso, s'era guadagnato il nomignolo di «uomo dinamite» e sul suo settimanale, La Testa di Ferro, aveva portato avanti una linea rivoluzionaria, anticonformista e libertaria con una simpatia tutt'altro che celata nei confronti dei soviet: una linea poco controllabile politicamente e certo scomoda per il poeta-soldato. Non è un caso, perciò, che il 10 aprile 1920, D'Annunzio facesse pervenire «Alla Direzione del giornale La Testa di Ferro» questo preciso ordine: «In considerazione della speciale delicatezza della situazione politica, e della superiore necessità che tutti i difensori della causa, coordinino ogni loro atto, ogni manifestazione pratica dei loro pensieri politici, alle mie direttive e all'opera che io svolgo, determino che, a cominciare dal prossimo numero, nessun articolo possa essere pubblicato su codesto giornale senza la mia approvazione, che io trasmetterò per il tramite della mia segreteria, alla quale dovranno essere consegnate, prima della pubblicazione, le bozze di stampa».

Non è neppure un caso il fatto che, di lì a breve, nel giugno dello stesso anno, venisse imposto a Carli di trasferire a Milano il suo giornale: un modo, evidentemente, per tenerlo lontano da Fiume. Tuttavia D'Annunzio gli rilasciò un biglietto autografo, quasi una sorta di avallo o lasciapassare, che riconosceva l'importanza del giornale e dava atto della fedeltà del suo direttore alla causa fiumana: «Il capitano degli Arditi Mario Carli trasporta a Milano la pubblicazione del giornale La Testa di Ferro: giornale del fiumanesimo. Egli si propone di divulgare in Italia le grandi idee essenziali che inspirano la nostra lotta di oggi e guideranno la nostra lotta di domani. Sarò grato agli amici che assisteranno nel suo nuovo compito difficile questo ardente e fedele servitore della nostra causa. Egli è degno della più larga fiducia. Ha intera la nostra. Fiume d'Italia, giugno 1924. Il Comandante. Gabriele d'Annunzio».

La fedeltà di Carli a D'Annunzio rimase sempre inalterata. Nel gennaio 1921, insieme a un gruppo di «monarchici di pura fede», egli decise di fondare l'Associazione Monarchica Italiana che avrebbe avuto come organo ufficiale il settimanale Il Principe da lui diretto insieme a Emilio Settimelli, ma al tempo stesso pensò di scrivere una biografia del Comandante, più esattamente un libro sulla sua «vita di guerra». Ne parlò a Colseschi che riferì subito a D'Annunzio, Il poeta, il 2 febbraio, scrisse a Carli ringraziandolo e rinviandolo ai tanti «documenti ufficiali», ma aggiunse che poiché difficile «dar note su tanti episodi ignorati» riteneva «più utile una nostra conversazione sul soggetto» in occasione di una sua prossima venuta a Milano. Nella stessa lettera, però, D'Annunzio mostrò tutta la sua meraviglia per la svolta monarchica di Carli: «La subitanea illuminazione monarchica in chi ha professato con tanta audacia il ribellismo, certo, mi sorprende. Ma non sono io che pongo limiti ai mutamenti mentali».

Ma la prova più significativa della fedeltà di Carli a D'Annunzio è contenuta nella Antologia degli scrittori fascisti (1931) che egli compilò insieme al suo grande amico Giuseppe Attilio Fanelli e dove volle inserire con risalto la figura del Comandante togliendo, invece, quella di Giovanni Gentile.

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