Cultura e Spettacoli

Danny Boyle: «Così il sole si spegnerà tra mezzo secolo»

L’eclettico regista inglese a Roma per il lancio del suo «Sunshine», un film tra giallo, fantasy e horror

da Roma

«Una notizia fresca fresca da Manchester: Totti non gioca, sta male», butta lì Danny Boyle, l’eclettico regista inglese, che di recente, con Trainspotting, ha reso ricco e famoso il cinema britannico. E con questa bufala d’apertura, il simpatico Boyle, capace di girare film di genere thriller, fantasy e horror con uguale talento, ieri ha voluto sdrammatizzare la questione-calcio, bollente dopo gli interventi della nostra polizia, a Roma, sui tifosi inglesi.
«Io tengo per il Manchester e lui», dice indicando il produttore Andrew MacDonald, all’ottava collaborazione con il cineasta di The Beach, «tifa per l’Arsenal, ma non è poi così importante. Il calcio è soprattutto un gioco fisico, carico di passioni: a me gli interventi di Tony Blair, riguardo alle ultime vicende sportive,sono sembrati eccessivi», spiega Boyle, che a metà strada tra un impiegato di banca e uno della morgue, occhialini e viso cereo compresi, è assolutamente in parte, per lanciare Sunshine, il suo ultimo thriller ad alto tasso di scienza (dal 20 aprile nelle sale).
Se qualcuno ancora non lo sapesse, tra cinquant’anni il sole si spegnerà (stando alle previsioni dei soliti bene informati), sicché il genere umano non avrà più l’energia e la luce sufficienti per sopravvivere sulla terra. E quest’apocalittica previsione è alla base di Sunshine, claustrofobico racconto di come otto astronauti e scienziati, viaggiando verso il sole e imbattendosi nella navicella spaziale Icarus I, persa nello spazio (sette anni prima) dietro alla loro stessa chimera, cerchino di salvare l’umanità.
Il nostro futuro, insomma, qui viene esplorato dal punto di vista della fisica, sebbene nella pellicola, dalla fotografia volutamente scura, sui toni freddi del grigio e del blu, circoli un’aria spirituale. «Il viaggio fisico dei protagonisti è anche un viaggio psicologico, che vale come viaggio spirituale. Gli astronauti si mettono sulla via di Damasco, perché lo spazio è qualcosa che l’uomo ha sempre cercato, per guardarvi dentro, come in uno specchio», afferma Boyle, la cui carriera cominciò a teatro, con la Royal Shakespeare Company.
Tra i numerosi film di genere, che hanno ispirato Sunshine, il cui costo si aggira sui quaranta milioni di dollari, figurano U-Boot 96 e Il salario della paura, ma soprattutto «tre giganti del cinema di fantascienza», come riconosce lo stesso regista, creatore di un’atmosfera visiva molto particolare, tesa a rendere la sensazione fisica della luce.
Si tratta dell’ormai classico 2001- Odissea nello spazio; del magico Solaris, firmato da Andrej Tarkowski e del primo Alien di Ridley Scott. «Sono tre film, che fissano in alto l’aspettativa del pubblico», afferma il cineasta, che ha lavorato a stretto contatto con il direttore della fotografia, Alwin Kuechler, «privando lo spettatore del colore giallo, il colore del sole, per poi farglielo penetrare negli occhi».
A differenza di molti film spaziali, inoltre, qui mancano le interminabili inquadrature sulla navicella in movimento e ciò, proprio per concentrare l’attenzione sui membri dell’equipaggio,rappresentato, tra gli altri, dall’irlandese Cillian Murphy (Capa, come il fotografo Frank, di cui emula la morte),dall’americano Chris Evans (Mace), dalla star asiatica Michelle Yeoh, già ammirata in La tigre e il dragone ( qui fa la biologa Corazon) e dall’australiana Rose Byrne (Cassie, pilota della Icarus II).
«Lo spazio è enorme e per renderne l’idea, siamo partiti da un cerchio, per poi creare circoli del sole sempre più larghi», chiarisce Boyle, assiduo della Nasa.

Altro che fantascienza! Di giri concentrici, a spasso nella bellezza dell’immensità, narrava già Dante Alighieri nella Divina Commedia, per esempio.

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