Ho fortemente voluto la mostra Danzare la rivoluzione. Isadora Duncan e le arti figurative in Italia tra Ottocento e avanguardia al Mart - il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto - per onorare, attraverso le arti figurative, e la indispensabile fotografia, fra emozione e documento, la prima delle arti, la più immediata, la più diretta, espressa dal corpo, senza mediazioni: la danza. E le opere danzano intorno a una persona, «grande maestra di scultura», attraverso le movenze del suo corpo: Isadora Duncan (San Francisco, 1877 Nizza, 1927), alla quale direttamente si ispirano artisti come Libero Andreotti, Romano Romanelli, Plinio Nomellini.
«Danzò la rivoluzione in breve tunichetta candida», dice della Duncan Margherita Sarfatti, un'altra donna che ha segnato profondamente la propria epoca. L'abbiamo vista nella scorsa stagione del Mart. Ora tocca alla Duncan, personalità travolgente, artista del corpo, che non chiede un giudizio ma indirizza il gusto e dà la propria impronta agli artisti del suo tempo. In lei la danza moderna, l'avanguardia, poggia sulla danza greca, senza tempo, come la poesia lirica su Saffo, in una condizione emotiva che non muta. La sua fondamentale presenza in Italia, i suoi rapporti con lo scultore Romano Romanelli e il pittore Plinio Nomellini, l'amicizia con la Duse, sono al centro di una mostra che estende agli artisti italiani l'indagine sulla influenza di Isadora Duncan sull'arte del suo tempo, nel ripensamento della danza come prima esperienza creativa dell'uomo. La danza è la più immateriale delle arti e, se oggi ancora ne abbiamo memoria, è per il drappello di artisti che l'arte della Duncan orienta e disorienta, parimenti. Il movimento del corpo si fa materia, nella pittura, nel marmo, nella pietra, nel bronzo. Lo dice il saggio di Paolo Bolpagni «Danza, scultura, musica e opera d'arte totale: Isadora Duncan e la temperie sinestesica della propria epoca» che - con quelli di Maria Flora Giubilei, Patrizia Veroli, Eleonora Barbara Nomellini, Rossella Campana, Francesca Simoncini, Giorgina Bertolino, Anna Mazzanti - arricchisce il catalogo che accompagna la mostra.
Sartorio, Laurenti, Bistolfi, Von Stuck, Eugene Carriere, De Carolis, Previati, Selva, Galileo Chini, Zecchin, Zandomeneghi, Troubetzkoy, Rubino, Baccarini, Viterbo, Prini, Biagini. Mondo preraffaelita e gusto liberty si manifestano in pitture, bronzi, ceramiche, illustrazioni, libri. A sua volta Isidora riconosce a D'Annunzio, che, con la Duse, aveva occupato lo spazio teatrale, «inspirazione, poesia, vita», per «il mondo intero».
La mostra è la tessitura paziente di ambiti diversi, il teatro, la musica, la danza, la letteratura, il cui spirito ascoso, il vento di luce, l'anima che li ispira sembrano venire tutti dalla semplicità e purezza del gesto ritmico di Isidora. La danza, immateriale, interpretando «quei misteri dei quali nessuna lingua può parlare», lascia la sua impronta e il suo slancio nell'arte.
L'intuizione che dal movimento del corpo, nella creazione dionisiaca della danza, possa derivare l'impulso creativo, carico di energia, per la scultura e la pittura (e, parallelamente, per la musica) genera una serie di invenzioni memorabili, in naturale concorso con l'estetica futurista, senza rinunciare all'esperienza simbolista, e in una dimensione parallela a quella espressa nella teatralità del mondo d'annunziano.
La danza era la religione della Duncan. Non il balletto classico, di cui ricusava le convenzioni e le posizioni artificiali, ma una danza che fluisse liberamente da un movimento spontaneo, basato sul ritmo della natura, così come lo intendevano gli antichi Greci.
L'immagine simbolo di questo movimento, che Isadora intendeva riprodurre nelle sue danze, era l'onda: l'andamento su cui si muovono il suono e la luce, una linea ininterrotta che simboleggia la ciclicità e l'energia della natura, che continuamente si rigenera. Le sue idee, in una rielaborazione dei classici e delle opere di Nietzsche, e i suoi spettacoli ispirati all'Antichità e al Rinascimento, in cui si esibiva scalza, con i capelli sciolti e avvolta in veli ampi e trasparenti come una scultura ellenistica, grande successo in tutta Europa, intensamente, fino alla prima guerra mondiale.
Gli anni sono quelli. Ed eccone gli effetti. Nel 1911 la tela Lussuria di Giuseppe Cominetti apre, come un manifesto, l'avventura della riscoperta del corpo nell'arte del secondo decennio del Novecento. D'Annunzio si è appena trasferito in Francia, sciogliendo il suo rapporto con Eleonora Duse e dissolvendo gli arredi della Capponcina, a Firenze. La modernità, con il mondo delle automobili e degli aeroplani, entra nel suo romanzo Forse che sì forse che no. Cominetti è a Parigi dal 1909, e si muove fra il divisionismo e simbolismo di Plinio Nomellini. Il movimento e la velocità si traducono nel ritmo della danza. E non è un episodio, a testimonianza della sottile e durevole influenza di Isadora Duncan, perché ritroviamo lo stesso spirito, nel 1912, in Giuseppe Amisani, e il ritmo vertiginoso della danza nella scultura di Ercole Drei, Amleto Cataldi, Italo Griselli, Nicola Dantino, Ernesto Bazzaro. Pittura e scultura, in questo secondo decennio, seguono lo stesso ritmo, fino alle nuove Grazie di Hendrik Christian Andersen (1872-1940), con i tre nudi che danzano. Il soggetto specifico della danzatrice ritroviamo, negli anni Venti, in Giuseppe Romagnoli, nel dimenticato Dario Viterbo, in Giovanni Prini, in Alfredo Biagini, e anche in Francesco Messina. A Faenza, dopo il precoce impulso di Domenico Baccarini con i suoi vasi fasciati da fanciulle danzanti (1903-1910), il tema avrà fortuna soprattutto in Francesco Nonni. L'intuizione felice di Maria Flora Giubilei e di Carlo Sisi trova ora conferma nel continuo passaggio dall'arte della danza alla rappresentazione artistica. Il mondo dei preraffaeliti, Von Stuck, Rodin, Bourdelle; e, in Italia, con esiti talvolta più intensi, anche se meno conosciuti, Libero Andreotti, Giulio Aristide Sartorio - che nel 1909 aveva iniziato il fregio danzante per l'aula di Montecitorio - Gaetano Previati, Leonardo Bistolfi. Il futurismo si trasforma in grazia ed eleganza nel movimento della danza ed è ben testimoniato da uno dei capolavori presenti nella mostra: Gioia tirrena di Plinio Nomellini (1914) che agita i sonni di Silvio Berlusconi nella Villa San Martino di Arcore; una figura danzante, la stessa Isadora Duncan, davanti a un mare agitato, dipinto spettacolare, anche per dimensioni, che fu tagliato dal pittore per potenziarne la ditirambica imminenza, escludendo il vasto spazio con le onde del mare a sinistra: un'opera straordinaria nella sua integrità, ricomposta in questa occasione, con la fusione tra il corpo femminile e la natura animati da una stessa energia vitale. Il futurismo appare concettoso rispetto a questa vitalità musicale pervasiva come La Mer di Debussy .
Nel dopoguerra, lontano dall'Italia, il mito deklla Duncan vacilla, pur al centro del mondo dell'arte. Il matrimonio con il poeta Sergéj Esénin, che aveva conosciuto durante l'esperienza sovietica, durò pochissimo: quindici mesi di inferno. Ovunque andassero, Esénin dava scandalo, si ubriacava, spaccava tutto. L'ultima tournée americana di Isadora fu un disastro: i critici si presero impietosamente gioco dei suoi capelli tinti e della figura appesantita. Al ritorno in Europa, Esénin la lasciò; si sarebbe suicidato due anni dopo.
Negli ultimi due anni di vita Isadora si divise tra Nizza e Parigi, spesso ubriaca, sempre squattrinata, assistita dai pochi amici che le erano rimasti. La sera del 14 settembre 1927, un amico venne a prenderla al ristorante sulla Promenade des Anglais a Nizza, nella sua auto sportiva scoperta. Le lunghe frange della sciarpa che portava al collo s'impigliarono nei raggi di una ruota e non appena l'auto partì la strangolarono in una stretta mortale, spezzandole l'osso del collo. La morte fu istantanea. La fine di Isadora, tragica e spettacolare come era stata la sua vita, suscitò grandissima impressione in tutto il mondo.
Oggi il suo mito ritorna, e ne vediamo gli effetti durevoli nelle opere che ha ispirato.Una mostra per verificare i rapporti e le contaminazioni dei linguaggi, dalla poesia alla musica, dalla pittura alla fotografia. E il Mart è in festa.
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