Miracoli a Milano non se ne vedono allorizzonte. Difficile quindi convincere Dario Fo a «fidarsi di quelli lì». Virgolettato che identifica Quercia e Margherita ossia gli sponsor dellex prefetto. Mancanza di fiducia che Fo condensa in un invito, «se ci vogliono con loro dobbiamo andare davanti a un notaio. Sì, mi devono dare garanzie precise perché il programma di Bruno Ferrante così comè non mi piace».
Dichiarazione di chi perde le primarie ma non si arrende e, soprattutto, vuol far contare quel ventitrè per cento di voti che pesano. Affermazione di chi è spalleggiato, naturalmente con toni più soft, da Rifondazione comunista: «Siamo il secondo partito della coalizione. Il vicesindaco potrebbe essere nostro» butta là Augusto Rocchi, segretario provinciale. Che al Nobel (ri)offre «il capolistato alle elezioni» mentre per lassessorato alla Cultura «si vedrà in futuro». Condizione temporale di chi ritiene, comunque, una bella idea Fo alla Cultura: anzi, crede possa essere la giusta ricompensa perché «se hanno votato ottantamila persone è stato anche merito di Fo che ha fatto aumentare la partecipazione» osserva Mario Agonistelli, capogruppo regionale Prc. Come dire: a contributo «importante» consegue travaso di questo «nel programma e nella squadra di governo». Valutazione che lUnione sa di non poter liquidare in fretta e furia come discussioni da bar o da salotto perché, come chiosa Fo, «i miei voti non sono da buttare, sono un pezzo di città...». Ma Ferrante ha altro a cui pensare, «la lista civica per parlare con quella parte vasta di società che vuol cambiare perché i milanesi vogliono essere maggiormente protagonisti della loro vita» dice il vincitore delle primarie dellUnione. Che dunque liquida il Nobel con una pacca sulle spalle, «è una grande risorsa per questa città, da valorizzare», dopo aver però passato la serata della vittoria a ricordare che «non si può dar spazio a chi, come Fo, ragiona solo contro».
Chiaro, quindi, perché dati alla mano, Ferrante, analizzi così il suo voto: «Anche i sostenitori della sinistra più radicale, credo, hanno fiducia in me». Lettura di un elettorato che, secondo lex rappresentante dello Stato, tra lui e il premio Nobel anche col cuore a fianco di questultimo era comunque costretto con la testa a votare il moderato. Versione che è davvero di troppo per i vertici milanesi di Rifondazione: «Il ventitrè per cento preso da Dario equivale, secondo le nostre proiezioni, al dodici-tredici per cento alle amministrative.
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