Dario Mellone, pittore del profondo

Il percorso espositivo copre un arco di tempo che va dal 1965 fino agli anni Novanta

Marta Bravi

È un pittore del profondo, Dario Mellone in mostra alla Fondazione Stelline di corso Magenta 61 fino all'11 marzo, profondo inteso come prospettico, come capacità di dare dimensione a tutti i suoi soggetti. Un artista che ha saputo attraversare con disinvoltura diverse correnti e stili artistici, destreggiandosi sul filo dell'astrattisimo, ma senza mancare mai di potenza espressiva. L'antologica, la prima in assoluto dalla scomparsa del pittore, «che soltanto recentemente - come dice Martina Corgnati curatrice della mostra - sta ottenendo il dovuto riconoscimento e comprensione critica, dopo anni di isolamento e talvolta d’aperte delusioni» mostra l'attività di artista, che si celava sotto quella più pubblica di illustratore e disegnatore del Corriere della Sera.
Il percorso espositivo copre un arco temporale che va dal 1965 fino agli anni Novanta, quaranta opere che spaziano dalla serie di futuristiche «Figure nello spazio» fino alle corpose «Teste». Nel 1965, dopo l'avvio come autodidatta accanto alla moglie Antonietta, esordisce con «Figure nello spazio», immagini dinamiche che tagliano in obliquo la tela, figure umane accennate che si sovrappongono e mescolano a macchine appena abbozzate, creando un naturale effetto di movimento. Segue, come uno squarcio nel figurativismo che ammicca ai movimenti del primo Novecento, dal futurismo al realismo esistenziale, la serie delle «Strutture cellulari» (1967-69), un inno al puro astrattismo. Triangoli che si ripetono sulla tela in modo ossessivo, di cartone dipinti, di metallo, danno vita a un mondo fatto di luci e di ombre, di dossi e di valli in un susseguirsi ritmico.

Ecco che l'artista prospettico si fa sentire, in «una duratura relazione di affinità - come dice la Corgnati - anche se in buona parte inconsapevole, con l'arte americana degli stessi anni, l'All-over... una dimensione operativa non troppo diffusa nella pittura italiana ed europea degli anni '60, a cavallo tra pop e concettuale».
Le linee frammentate dei triangoli si trasformano in morbide curve che escono dalla tela: sono le «Figure biomorfe» composizioni di tubicini di plastica rosa annodati su di loro o lasciati liberi di «muoversi» in «Black out metaplastico» (1975).
Una sintesi, se così si può chiamare, tra astrattismo e figurativismo si ha con i corpi legati, traforati da viti, bulloni, corde, tubi. «Le trasformazioni che l'uomo subisce nell'adeguarsi al predominio della tecnologia e delle nuove condizioni sociali, comporta una deformazione morfologica dell'immagine» diceva Melloni, che dava vita a «Figure» e «Mutanti» (1975-6). Il discorso prende forma, si rende spaziale con le «Città del futuro» (1974-6) e «Paesaggio meccanico» (1973) volumi dai colori contrastanti, che si espandono sulla tela in maniera caotica e spiazzante, sopraffacendo l'osservatore.


Si arriva, infine, alla serie delle «Teste»: dalle maschere meccaniche e pop che risentono delle avanguardie storiche (1975), alle «Teste» espressioniste degli anni 90, struggenti nelle loro pennellate corpose, che ben rappresentano l'angoscia e il turbamento profondo, appunto, dell'uomo.
La mostra, a ingresso libero, è aperta dal martedì al sabato, orari 10-13 e 14-19, lunedì 14-19.

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