Un pasticcio che dura da otto anni e mezzo, e su cui non è stata ancora scritta la parola fine. La lettura delle motivazioni della sentenza con cui il Tar della Lombardia ha dato ragione al Comune di Milano fa capire che il caso della Darsena e del grande parcheggio subacqueo che dovrebbe venire realizzato sotto di essa è ancora lontano dall’essere chiuso. Anche se il 12 ottobre scorso il Comune ha festeggiato la sentenza del Tar come una pietra tombale sul parcheggio, sul caso pende ancora il ricorso al Consiglio di stato che i concessionari dell’area stanno preparando. E se dovesse venire accolto riaprendo la strada al cantiere, la giunta Pisapia si ritroverebbe tra i piedi una nuova e ingombrante grana, visto che - come anche nel caso del parcheggio di piazza Sant’Ambrogio - il blocco del parcheggio sotto la Darsena rientrava nel programma elettorale del centrosinistra. Ma bloccarlo, a quel punto, diverrebbe costoso. Dalla loro parte, gli imprenditori di Progetto Darsena hanno diversi passaggi della sentenza del Tar che danno atto come - in questa vicenda lunga e complessa - anche il Comune abbia accumulato la sua dose di colpe: «L’intera vicenda - scrivono infatti i giudici del Tar - è caratterizzata da condotte non propriamente coerenti e lineari da parte di tutti i soggetti contrattuali». Certo, alla fine il Tar dà ragione al Comune. Ma proprio sulla base dei comportamenti «non lineari» di Palazzo Marino il Consiglio di stato potrebbe ribaltare il risultato. Come già fece, d’altronde, nell'ottobre di un anno fa, quando riaprì i giochi annullando la sentenza del Tar che aveva già una volta dato ragione al Comune. Nella nuova sentenza, quella depositata il 12 ottobre, il punto di crisi dell’intero progetto viene indicato nella sospensione degli scavi archeologici, iniziati nell’agosto 2005 e interrotti nel marzo 2006, dopo il rinvenimento di un tratto di mura spagnole e di un impianto in legno del XV secolo. A quel punto interviene la Sovrintendenza che ordina la modifica del progetto per salvaguardare i reperti. Riassume il Tar: «Conservazione delle mura spagnole (con conseguente spostamento verso sud del perimetro dell’opera), conservazione dell’assito ligneo quattrocentesco (con conseguente diversa articolazione del perimetro dell’opera, diretta a circondare ma non a sovrapporsi all’area di circa 600 metri quadri dove era stato rinvenuto detto assitto ligneo); che il perimetro del parcheggio fosse posizionato lungo lo sviluppo lineare delle mura ottocentesche della Darsena, in guisa che lo specchio d'acqua sovrastante, che sarebbe dovuto essere ripristinato, corrispondesse a quello dell’Ottocento».
La Sovrintendenza, come si vede, impone una riscrittura sostanziosa del progetto. I concessionari a quel punto sostengono che le limitazioni rendono il piano economicamente insostenibile, e chiedono di scavare un piano in più: tre piani invece di due. Ma - ed è la mossa su cui si scatenerà il contenzioso più esplicito col Comune - chiedono anche di aggiungere una zona con altri 372 box da vendere ai privati, mentre l’accordo originario prevedeva solo un parcheggio pubblico a ore.
Il Comune non risponde, i lavori si fermano (anche perché la Società lombarda di archeologia sostiene di non venire pagata per gli scavi), nel frattempo i reperti rimangono esposti alle intemperie, tanto che la Procura avvia un procedimento penale. L'acqua invade il cantiere, aprendo un nuovo contenzioso tra il concessionario e il Comune sulle responsabilità dell’allagamento. Come se non bastasse, banca Intesa, che doveva finanziare l’opera, si tira indietro. Il Comune sostiene che la responsabilità dei ritardi ricade tutta sulla Progetto Darsena spa, e il Tar gli dà ragione: «I fatti addotti dal concessionario potevano giustificare una modifica del perimetro del parcheggio pubblico, ma non certo la realizzazione di un parcheggio per residenti in aggiunta al primo, con diversa durata e redditività». I 372 box, sostiene il Tar, «garantivano redditività certa e assai più elevata». Tutto chiaro, dunque? In realtà no. Perché prima di dare ragione al Comune, il Tar è costretto a riconoscere che in almeno due occasioni Palazzo Marino aveva accolto le richieste di Progetto Darsena. Una prima volta con un provvedimento del 28 aprile 2006 firmato dal sindaco Albertini nella sua veste di commissario straordinario ai parcheggi.
Una seconda volta nel settembre 2009, sotto l’amministrazione Moratti, quando una «nota comunale» riconosce piena validità al cambiamento di programma firmato da Albertini nel 2006.
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