DAVID DI DONATELLO

Il regista de «La ragazza del lago» stupito per i dieci premi

da Roma

«Cosa le devo dire? Forse è davvero un'esagerazione la doppietta miglior film e miglior regista esordiente. Silvio Soldini, per esempio, ha fatto un ottimo lavoro su Giorni e nuvole. Meritava un David. Ma ormai è andata così. Sono ancora stordito. Ringrazio i giurati, spero di non rendermi antipatico, mi auguro solo che Nanni Moretti non ce l'abbia con me». Il giorno dopo Andrea Molaioli, 41 anni, romano e romanista doc, festeggia in famiglia le dieci statuette andate a La ragazza del lago. Con lui la moglie Francesca Cima, produttrice del film insieme con Nicola Giuliano, i figli Enrico e Vittorio, la mamma che compie gli anni, altri amici. Al telefono sembra sinceramente sorpreso di aver battuto Caos calmo, rovesciando i pronostici della vigilia.
Sapeva che Medusa fa riuscire La ragazza del lago in 100 copie martedì prossimo?
«Me l'hanno appena comunicato. Giampaolo Letta e Carlo Rossella hanno speso parole gentili. Si dice che i premi servono a poco. Magari stavolta no. È grazie a questi 10 David se il pubblico avrà di nuovo l'opportunità di vedere il mio film sul grande schermo. L'altra volta restò in sala per 14 settimane, un record, incassando 2 milioni e mezzo di euro. Speriamo che il miracolo si ripeta».
Dica la verità: almeno in cuor suo, se l'aspettava.
«Neanche un po’. Io, Francesca e Nicola eravamo già soddisfatti, anzi felici, delle 15 candidature. Neppure l'ottimismo più sfrenato, che non è una mia caratteristica, faceva presagire una roba del genere. Esagerata. C'era magari una speranza su qualche categoria, tutto il resto è stato un regalo».
Quando ha cominciato a crederci?
«Quando hanno annunciato che ero il miglior regista esordiente. Da lì in poi sono entrato in una sorta di trance. Non pensavo che si andasse verso questo crescendo a raffica. A un certo punto mi sono detto: non si saranno sbagliati?».
Ha visto la faccia impietrita di Moretti quando hanno fatto il nome di Servillo?
«Francamente no. Ero lontano da lui, gli attori li avevano sistemati tutti su un piccolo palco. Guardi, voglio molto bene a Nanni, sono stato tre volte suo aiuto regista, tante volte assistente, ho collaborato con la Sacher da Palombella rossa a La stanza del figlio. Mi dicono che, lasciando l'Auditorium, ha domandato ai giornalisti: “Scusate, ma perché intervistate me? Sentite Molaioli, è lui che ha vinto”. Lo ringrazio. Devo a lui se ho avuto la possibilità di avvicinarmi al cinema».
Ha capito perché La ragazza del lago, sin dall'esordio veneziano, ha riscosso tante simpatie?
«Credo sia risultato di un mix riuscito. Da un lato c'è la fascinazione di una storia classicamente gialla, che va dalla scoperta di un cadavere alla cattura dell'assassino. Dall'altro il disvelarsi progressivo, parallelo all'indagine poliziesca, di un'umanità fragile, toccante».
La critica ha scomodato il nome di Dürrenmatt.
«Ringrazio. È un riferimento letterario pertinente. Certo che ho pensato a certe sue atmosfere nell'adattare Lo sguardo di uno sconosciuto, della norvegese Karin Fossum. Un incontro casuale, che risale a cinque anni fa. Ero in libreria, curiosando qua e là mi sono imbattuto in quel romanzo. Ho letto la quarta di copertina, l'ho comprato e subito ho immaginato di farne un film».
Però ci sono voluti tre anni per arrivare al primo ciak...
«Vero. Ma non mi lamento. In fondo tre anni per un'opera prima non sono neanche troppi. Ci sono film di miei colleghi che nemmeno escono».
Quanto deve a Servillo il trionfo di venerdì sera?
«Molto. Il commissario Sanzio non poteva che essere da lui.

Ammiro la sua sensibilità, quella capacità unica di raccontare tanto del personaggio facendo apparentemente nulla. Il fatto che venga dal sud non è solo una trovata fonetica: lo pone come una figura altra rispetto al luogo nel quale indaga. Toni è fatto della stessa pasta di Volonté: quando pensa, sullo schermo, pensa davvero».

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