David Mamet: «Gli scrittori britannici sono antisemiti»

«Ci sono molti scrittori britannici di oggi le cui opere sono piene di lerciume antisemita». David Mamet, oggi il drammaturgo americano più famoso e di maggior successo, ama la scena e il palcoscenico. Sa come stupire e attirare l’attenzione su di sé. Lo ha fatto in un’intervista rilasciata all’inserto culturale del week-end «Life&Arts» del Financial Times, il principale giornale economico-finanziario del Regno Unito. Regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e drammaturgo, già Premio Pulitzer nel 1984 per l’opera teatrale Glengarry Glen Ross, Mamet, in una lunga conversazione a tutto campo con John Gapper, nota firma della testata londinese, si è lanciato in un attacco contro l’establishment letterario inglese che a suo avviso produce drammi, libri e saggi pieni di «anti-Semitic filth», «lerciume antisemita».
Sessantaquattro anni, figlio di genitori ebrei originari della Russia e che oggi frequenta regolarmente la Sinagoga, non si è del tutto sbilanciato, preferendo non far nomi per evitare di incorrere nelle «famose leggi britanniche sulla diffamazione». Ma, rispondendo all’intervistatore che gli chiedeva come mai in Europa c’è maggior scetticismo che negli Usa sullo stato di Israele, è stato molto chiaro, forse troppo: «negli inglesi c’è una profonda e non sradicabile macchia di antisemitismo». Parole pesanti che - c’è da supporre - non mancheranno di scatenare critiche e risposte.
Non è la prima volta che Mamet affronta lo scivoloso argomento dell’antisemitismo «dentro le mura di casa». Nel 2006, in un saggio sull’odio di sé ebraico e l’antisemitismo intitolato The Wicked Son (Il figlio malvagio), Mamet denunciava «gli ebrei che odiano gli ebrei» come «la peggior rovina di Israele». Il mondo - scriveva - odia gli ebrei, li ha sempre odiati e sempre li odierà, e per questo bisogna stanare e combattere l’antisemitismo ovunque si nasconda. Soprattutto tra gli ebrei stessi, quelli che hanno così interiorizzato l’odio antisemita da autoflagellarsi denigrando le proprie tradizioni e lo Stato d’Israele. In quel caso lo scrittore citò noti e influenti intellettuali come Noam Chomsky, accusato di sostenere davanti ai propri studenti che lo Stato d’Israele è un crimine; Norman Finkelstein, colpevole di aver violentemente criticato «l’industria dell’Olocausto», e Tony Judt, reo di sostenere la necessità di diluire il «carattere ebraico di Israele».
Nella chiacchierata col Financial Times, poi, Mamet - noto soprattutto per la sceneggiatura di Il postino suona sempre due volte, diretto da Bob Rafelson, e de Gli intoccabili - è tornato anche sulle ragioni della sua recente conversione intellettuale al mondo conservatore, annunciata nel 2008 in un lungo articolo uscito sul Village Voice col titolo «Why I Am No Longer a “Brain-Dead Liberal”» («Perché non sono più un liberal senza cervello») che mise in agitazione l’intellighenzia anglosassone: «Ho visto cose nel mio comportamento, nelle mie posizioni che mi hanno orripilato tanto erano sciocche e assurde».

Infine - ed è l’affermazione che probabilmente stupirà di più l’élite culturale americana e inglese - Mamet ha rivelato una profonda ammirazione per Sarah Palin: «Vado matto per l’ex governatrice dell’Alaska. Non so se sarebbe una buona candidata alla presidenza, certo è che ha avuto successo in tutto ciò in cui ha messo mano».

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