«Non stiamo parlando di una semplice cascina. Qui è in ballo qualcosa di più grande. Sono in gioco argomentazioni che se passassero avrebbero una portata rivoluzionaria». Cè un tasto su cui Maurizio De Caro, architetto impegnato nei progetti dellExpo e docente di architettura e pianificazione al Politecnico, batte con insistenza. «Si tratta di cultura».
Professore, Cascina Bianca di Savoia non è solo un edificio di campagna?
«No, non solo. Quando interveniamo su una struttura rurale che rappresenta unarchitettura tipica lombarda dobbiamo essere sicuri di quello che stiamo facendo. Perché non si può essere contrari in assoluto a operazioni che possono anche portare a dei miglioramenti. Ma il punto è proprio questo: dobbiamo ragionare sulla qualità delle nostre scelte».
In questo caso, il proprietario storico denuncia diversi interventi invasivi.
«Appunto, unarchitettura invasiva non è architettura».
E la cascina non è nemmeno un rudere.
«Chiariamo, cosè un rudere? Anche un palazzo in centro a Milano può esserlo. Questa cascina, invece, è un soggetto di bellezza che può tornare a essere tale».
Quindi è giusta la battaglia di Mannarelli?
«È giusto che ci sia una battaglia per il bello. È necessario riaprire un dibattito sulla bellezza come necessità umana, perché è il nostro nutrimento. È lo stesso tema che stiamo affrontando su progetti giganteschi che riguardano lExpo».
Da Cascina Bianca Savoia allExpo, è un bel salto.
«È la stessa battaglia tra chi vuole parlare di contenuti e chi soltanto di metri quadri e aree. Questo sono argomenti rivoluzionari».
Diciamo allora che una rivoluzione può partire anche dalle campagne lombarde?
«Quella piccola cascina è anche nostra.
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