Politica

De Benedetti come Berlusconi: «No a Telecom»

da Milano

«Io intercettato? Querelerò chi ne ha parlato. Telecom è una bella realtà, ma bisogna distinguere tra azienda e dirigenti. Quanto a Tim, non mi interessa». Così Carlo De Benedetti, presidente di Cir e del gruppo L’Espresso, ribatte alle dichiarazioni di Marco Bernardini, ex agente del Sisde e investigatore privato del gruppo Pirelli, che al Giornale ha riferito di aver indagato su di lui e su suo figlio Marco, smentendo contemporaneamente le voci, peraltro sempre più insistenti, sull’interesse del suo gruppo per la società di telefonia mobile. Proprio come aveva già fatto nei giorni scorsi Silvio Berlusconi a proposito delle voci che davano Mediaset interessata a Telecom.
Secondo Bernardini, De Benedetti era controllato «per motivi seri e gravi». Tanto da non poterli neppure rivelare agli intervistatori. «È scritto nell’ordinanza che ho fatto delle indagini, lo confermo - aveva soltanto detto -. Se mi hanno dato incarico di farlo, evidentemente c’erano motivi validi». Quali? «Non ne posso parlare perché sono cose molto serie, e gravi. Comunque le ho riferite al magistrato». E aveva anche confermato di avere indagato su De Benedetti «padre e figlio». Quest’ultimo lavorava in Telecom, fanno osservare gli intervistatori: «Appunto, lavorava. Le prime veline su Telekom Serbia pubblicate su giornali non proprio amici dell’azienda forse arrivavano dal suo entourage», concludeva Bernardini. Dichiarazioni su cui De Benedetti non ha fatto alcun commento, dichiarando soltanto ai giornalisti, che l’hanno atteso all’uscita dell’assemblea di Cdb Web Tech, di aver dato «incarico ai miei legali di querelare penalmente sia Bernardini sia i suoi mandanti per ragioni che sono evidenti». E suo figlio? «Mio figlio farà quello che ritiene opportuno - ha replicato -, io parlo per me».
Il manager non ha voluto soffermarsi ulteriormente sulla bufera che ha investito Telecom: «Bisogna distinguere tra azienda e amministratori - si è limitato a dire -. L’azienda è una bella azienda, se qualcuno ha commesso azioni specifiche ne risponderà». E ai giornalisti che insistevano a chiedergli come si poteva spiegare quanto avvenuto, ha risposto seccamente: «Bisogna chiederlo a chi l’ha fatto. È una brutta pagina da parte di chi l’ha organizzata».
Smentita secca, da parte di De Benedetti, anche all’ipotesi di un interesse del suo gruppo all’acquisizione di Tim. «Assolutamente no», ha dichiarato. In realtà, sul mercato si parla sempre più insistentemente di un interesse della famiglia De Benedetti per il business delle telecomunicazioni.

E ieri il Corriere economia scriveva che il potente fondo di private equity Carlyle - di cui è responsabile in Italia proprio il figlio di Carlo De Benedetti, Marco, che è stato per diversi anni amministratore delegato di Tim - punterebbe 4 miliardi sull’acquisto della società di telefonia mobile.

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