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«De Benedetti? Vi spiego chi è davvero»

«Una montagna di miliardi comprando (a poco) dallo Stato e vendendo (a molto) per le sue tasche. Così hanno fatto i soldi - quelli veri - in tanti in quegli anni, compreso l’ingegner De Benedetti. E così sognano di farne ancora e di più. Un giochetto che Bettino Craxi e chi stava all’epoca con lui al governo non gli avrebbe mai permesso e per questo chi più chi meno siamo stati massacrati. Adesso la storia si ripete. E probabilmente ora l’ostacolo da abbattere si chiama Silvio Berlusconi».
Ex segretario del Partito Liberale, per quasi 10 anni ministro della Sanità e poi dell’Industria (proprio con il primo governo Craxi) Renato Altissimo fu uno dei testimoni oculari di quella stagione che portò prima alla rimozione della classe dirigente con Tangentopoli e dopo al grande sacco dell’Italia attraverso le privatizzazioni «all’amatriciana» di decine di aziende pubbliche.
«Storie che gridano vendetta - batte i pugni sul tavolo con la rabbia di chi ha già assistito allo stesso crimine -. Dietro i racconti di lenzuola, i siluri dei giornali di De Benedetti e dei suoi amici, e persino - di complemento - le litanie quotidiane di Franceschini e Di Pietro, c’è una posta altissima. Miliardi di euro».
Ma va’! C’è la crisi… in Italia tutti piangono che non c’è una lira. Dove sarebbe questo bengodi?
«Stavamo male anche agli inizi degli anni ’90. Il debito pubblico era consistente. La lira si batteva con le altre monete con la forza di una piuma. E l’inflazione rischiava di mangiarsi i risparmi di imprese e lavoratori. Eppure proprio a quell’epoca c’è chi ha fatto i più grandi affari della sua vita, guadagnando in poco tempo migliaia di miliardi. Ovviamente il conto, salatissimo, è stato ancora una volta pagato dallo Stato».
Sia più chiaro. Lei era ministro dell’Industria e fino al 1992 segretario di uno dei partiti di governo, il Pli. Cosa è successo?
«Lo raccontava bene mercoledì scorso Geronimo sul Giornale. La sinistra mandata al governo da Tangentopoli, col sostegno palese, mai smentito, dell’Ingegner De Benedetti, ricambiò la cortesia consentendo la svendita di beni dello Stato - cioè di tutti - proprio al gruppo di Ivrea. La vicenda più incredibile fu quella di Omnitel e Infostrada. La prima, ottenne la concessione per diventare il secondo gestore della telefonia mobile a urne aperte, era il 1994, appena in tempo per pagare il “debito di riconoscenza” prima della sorprendente vittoria di Berlusconi contro la gioiosa macchina da guerra di Occhetto, D’Alema e compagni. La seconda, Infostrada - cioè la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato - fu ceduta all’Ingegnere per 750 miliardi di lire da pagare in comode rate. Subito dopo De Benedetti vendette tutto per 14mila - ripeto - 14mila miliardi di lire ai tedeschi di Mannesman. L’Ingegnere è diventato ricco. Lo Stato decisamente più povero».
Una rondine non fa primavera…
«Ma qui di rondini è pieno il firmamento! Altre plusvalenze miliardarie sono arrivate con Telecom, Seat-Pagine Gialle, Autostrade e così via. Per non parlare delle banche che appartenevano all’Iri. Oggi nessuno sa chi sono i veri proprietari delle grandi banche, tranne i soliti noti».
L’Ingegnere è stato più bravo di altri. Ha vinto sul mercato...
«Ma che mercato e mercato. Questo è capitalismo di rapina. Sulla Sme io stesso feci presente al presidente dell’Iri dell’epoca - sto parlando di Romano Prodi - che c’erano altri gruppi molto interessati a comprare l’azienda. Mi fu risposto picche, che di vendere la Sme proprio l’Iri non ci pensava nemmeno lontanamente. Tre mesi dopo aveva concluso la svendita a De Benedetti!».
Possibile che fosse così facile far tanti soldi?
«Mica per tutti. E mica così facile. Il primo problema era Craxi e la classe dirigente dell’epoca. Noi non avremmo permesso un tale saccheggio del Paese. Una delle ragioni importanti (e non certo la sola) che stavano dietro alla Operazione Mani pulite fu proprio la rimozione dell’ostacolo rappresentato da quella classe dirigente. Le inchieste colpirono in maniera chirurgica alcuni partiti e tennero fuori dalla mischia altri. Il Pci che sponsorizzava i capitani coraggiosi non fu raggiunto nemmeno da uno schizzetto di fango. La fattura fu saldata nel giro di qualche anno. E il prezzo per la collettività è stato altissimo».
Qual è il legame con la situazione odierna?
«La logica e gli interessi sono ancora gli stessi. O qualcuno pensa che le cannonate di Repubblica e L’espresso siano un capriccio dei direttori all’insaputa del loro editore? Il metodo è lo stesso. Far fuori chi governa per far posto a chi può saldare il conto. Una cosa però è molto diversa rispetto a prima».
Cosa?
«Vedo troppo nervosismo. Troppa fretta di dare la spallata.

Forse, nonostante i tanti soldi guadagnati, sotto sotto quei gruppi si sono indeboliti e forse sono in difficoltà. Certo, con un governo amico, magari con a Palazzo Chigi qualche “neo” campione delle privatizzazioni, il panorama sarà più roseo…».

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