De profundis per l’etica del pallone

De profundis per l’etica del pallone

Q uesto dovrebbe essere un de profundis ed invece è un racconto da film: storia fasulla, racconto di una finzione. «Ma cosa fanno? Ma cosa vuol dire?». Un giornalista francese guarda stupito i suoi colleghi accucciati nella tribuna stampa di Bari. Vede la Juve che fa festa, coriandoli che volano nell’aria, sul prato un gruppo di ragazzi miliardari in maglia rossa, con la scritta «29» sulle spalle, che cercano di far baldoria come in una festa di fine anno mal riuscita. Bisogna sorridere, brindare, levare il calice perché così vuole la convenzione. Il giornalista francese non capisce. «La Juve è nello scandalo più grande del calcio e festeggia? Che arroganza!». Vede un bambino con la maglia di Del Piero, tenuto per mano dal suo papà. E si domanda: «Ma non ha spiegato a suo figlio cosa è successo?». Legge tanti striscioni sulle tribune, come nessuno avesse letto, invece, quelle cose che si chiamano intercettazioni. Lui è venuto a Bari per raccontare la caduta di una Signora, la caduta morale naturalmente. E invece scopre che qui è la festa. Vede uno striscione: «Il fine giustifica i mezzi, grazie Triade». Puff! Sbuffa, si contorce, se potesse sputerebbe per terra.
Domanda: «Allora per voi, questo è il calcio?». Cosa rispondergli? Sì, oggi questo è il calcio in Italia. Quello del fine che giustifica i mezzi, un campionato cominciato in uno scandalo border line col doping e concluso nel marcio della corruzione e dell’imbroglio. Sempre la Juve a farla da padrona, sul campo e nei tribunali, nelle intercettazioni e nei capi d’accusa. Ieri si è chiuso il campionato e forse un certo calcio: ad esser ottimisti. Lo scudetto della Juve onorato solo da quelli che stavano sul campo e sulle tribune, forse a Torino e in qualche parte d’Italia. Diceva uno striscione: «Fottetevi, milanisti e giornalisti, viola e romanisti, laziali e interisti». Questo è il calcio in Italia: quello del fottetevi e chissenefrega del resto. La Juve ha vinto lo scudetto numero 29 fino a prova contraria. Tempo un paio di mesi per sapere se i suoi titoli sull’album dei ricordi saranno 29, 28 o 27. Nel caso restino 29, vorrà dire che tutti abbiamo sognato e la Juve segnato ancora. Una squadra è rimasta due anni in testa al campionato, ma pure ai sospetti. Senza intercettazioni avremmo dubitato, però mai saputo con certezza. Ora sappiamo che lo scorso campionato la Juve restò in testa per grazie ricevute, dirette o indirette. Di quanto successo in questo, forse non sapremo. Forse la Juve ha vinto il campionato in cui non doveva esserci, se l’avessero retrocessa. Sembra solo un film.
Ieri c’è stato un momento in cui una sensazione terribile di «déjà vu» ha percorso la schiena di vecchi suiveurs. Ci fu una Juve che festeggiò su morti e su macerie, su un colossale dramma umano.

Fingeva per distogliere l’attenzione da una realtà tragica. Poi i giocatori dissero: non sapevamo, ce lo imposero. Stavolta tutto è meno grave, moralmente più scadente. Allora fu un tormento dell’anima, questo soltanto un tormento dell’etica.

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