E alla fine manovra fu. In tempo per affrontare l’esame della Banca centrale europea che domani deve decidere se rinnovare
l’acquisto dei nostri titoli di Stato e sostenere quindi i conti
pubblici italiani pericolosamente in bilico. Le novità sono ormai
note. Aumento di un punto dell’aliquota dell’Iva oggi al 20 (sono
quindi esclusi il comparto turistico e i generi alimentari), aumento
del 3 per cento delle tasse sopra i 300mila euro di redditi,anticipo al
2014 dell’adeguamento dell’entrata in pensione delle donne a quello
degli uomini nel settore privato, subito una legge per l’abolizione
delle Province. Così i conti dovrebbero quadrare e permettere di
avviarsi verso il traguardo del pareggio di bilancio.
Le manovre,
per definizione, non sono né belle né brutte. Inevitabilmente si paga
dazio. Il compromesso raggiunto può anche scontentare qualcuno, ma
sicuramente non si accanisce contro nessuno. Quantomeno apre un varco
nel muro di gomma contro ilquale rimbalzava chiunque tentasse di
modernizzare il Paese. Si tocca lo statuto dei lavoratori che
ingessava le aziende e alla fine danneggiava pure i lavoratori stessi.
Si scardina il veto assoluto sull’inviolabilità dell’attuale sistema
pensionistico (la questione femminile non è decisiva ma aiuta i conti
Inps). Inizia finalmente e per davvero il dimagrimento dell’infernale
macchina ( e dei costi) della politica. I ricchi sono chiamati a dare
un contributo maggiore (sia pure modesto, poche migliaia di euro a
testa) nei momenti di crisi. E ultimo, come avviene nei Paesi più
avanzati,la tassazione (col balzello dell’Iva), comincia a spostarsi
dalle persone ai consumi.
Fatti concreti e passi poco più che simbolici. Non si può dire che Berlusconi sia entusiasta, ma certo ha tirato un sospiro di sollievo e resta ottimista. Così facendo è stato possibile, come promesso e necessario, tenere insieme le anime della maggioranza, pezzi dell’opposizione e parti sociali. Non tutti, ovviamente. L’unanimità non è di questa terra,figuriamoci della politica. Il dissenso è legittimo, la protesta pure (quella di ieri della Cgil, peraltro, è fallita nei numeri e nei contenuti) ma chi di fronte a questi provvedimenti continua sulla strada dello sfascismo è in malafede e ha obiettivi da raggiungere (la caduta del governo) diversi dal risanamento. Perché, sia chiaro, l’alternativa non è qualche cosa di più leggero, ma di molto più pesante. Auguriamoci di non doverci arrivare.
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