La storia non è conclusa e nuovi protagonisti con nuovi dettagli possono da un momento all’altro irrompere sulla scena del crimine. La sostanza della tragica vicenda di Avetrana è ormai sufficientemente chiara. Al di là dei ruoli svolti dalle singole persone, ci troviamo di fronte a una famiglia unita che partecipa a un crimine per proteggere chi ha commesso quel crimine.
Se è Sabrina ad avere compiuto il delitto trova come suoi alleati i propri familiari per aiutarla sianell’atto omicida, sia nell’occultamento del cadavere. Se invece è Michele Misseri ad avere commesso il delitto, è lui, a sua volta, a trovarsi nell’esatta posizione di Sabrina: ha, cioè, i suoi familiari che lo aiutano a occultare il cadavere e a nascondere le prove.
Se, infine, ad ammazzare Sara sono stati, Sabrina e Michele, insieme, ci troviamo sempre di nuovo davanti alla medesima situazione, in cui una stessa famiglia aiuta gli assassini, accettandone la complicità.
Comunque sia abbiamo di fronte anoi una famiglia unita che protegge l’autore o gli autori materiali del crimine. Una famiglia unita contro le leggi dello Stato, contro le leggi che regolano i più elementari comportamenti all’interno di una società. Una storia, quella di Avetrana, che suggerisce modi d’essere arcaici, anacronistici. Nella notte dei tempi si perde, infatti, il principio fondamentale secondo il quale viene punito chi uccide un membro della propria comunità e, se usciamo da quella notte, avventurandoci tra gli albori della nostra civiltà classica, osserveremo quale grandiosa drammaticità ci sia nella tensione fra il rispetto delle leggi del cuore, quelle personali, familiari, nate da un profondo sentimento religioso, e le leggi umane, dettate dalle esigenze di regolare la convivenza all’interno della comunità.
Sofocle nella tragedia Antigone , ci illustra il lacerante conflitto tra questi due modi di rispettare la legge: quale delle due deve prevalere quando una entra in lotta con l’altra?
Torniamo coi piedi per terra e ai nostri giorni. Certo, la storia di Avetrana ci riporta alla quotidiana prosaicità, ma possiede una piccola suggestione che ricorda la grande tragicità antica. Chiediamoci allora fino a che punto una famiglia possa giustificare la sua unione nella trasgressione della legge per coprire un congiunto che commette un crimine tanto grave come quello di un assassinio.
È chiaro come nella famiglia Misseri l’idea di rimanere uniti, di proteggere tutti insieme il criminale sia un principio immediatamente accolto senza nessuna incertezza, senza nessuna riflessione critica. Per esempio, nelle dichiarazioni degli ultimi due familiari arrestati, zio e nipote, è sconcertante come si siano difesi dichiarando di avere imparato a memoria ciò che, eventualmente, avrebbero dovuto dire agli inquirenti.
La loro preoccupazione era semplicemente di non apparire contraddittori e illogici: neppure per un istante era passata nell’anticamera del loro cervello la possibilità di raccontare la verità.
Una famiglia unita contro la verità e contro la legge. Una posizione che appare insieme mostruosa e tragica. Mostruosa perché un padre, una madre devono condannare l’errore del figlio per un rispetto elementare delle regole di convivenza e per proteggere veramente - non omertosamente- il congiunto che ha commesso il crimine. Dovrebbero suggerire di costituirsi, cosa che oltre rendere più semplice la difesa sul piano legale, fa diventare anche più naturale il perdono, l’accoglimento in famiglia e l’inserimento nella società del reo dopo aver scontato la pena.
Mostruosa, quella famiglia, anche perché la sua unione dà l’idea del clan, del gruppo separato, autonomo, sfrontato nella convinzione di poter vivere trasgredendo impunemente le leggi dello Stato. Tragica per il suo arcaico anacronismo.
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