Gore Vidal (1925-2012) era uno che degli Stati Uniti vedeva le crepe dietro all'orgoglio di essere una potenza mondiale. La sua idea di cosa sia la democrazia a Washington è semplice e feroce: un'oligarchia travestita da repubblica virtuosa, dove il potere vero sta fuori dalla portata degli elettori. E lui, con un atto di ironia aristocratica, si divertiva a sollevare il sipario.
Washington, d.c. (Fazi) è il primo romanzo del ciclo americano: una radiografia spietata della capitale negli anni Trenta-Quaranta. Politici senza ideali, giornali manovrati, lobby trasversali. Il potere è un club esclusivo, riservato alle élite. Perfino molti deputati e senatori sono marionette al servizio di una macchina teatrale ben oliata. La storia segue due famiglie i Jameson e i più spregiudicati Burden e un politico, il senatore James Burden Day, che incarna il potere "per bene": quello che non alza mai la voce, ma decide tutto. Intorno a lui, giornalisti che fingono indipendenza, rampolli ambiziosi, vecchi opportunisti. Vidal non cerca eroi; cerca dinamiche. E le trova tutte: ricatti sottili, favori che obbligano, compromessi che ammorbano la coscienza. Il cuore del romanzo è una verità che Vidal ripete con l'aria annoiata del professore che ha già corretto cento temi uguali: la politica americana non è lotta tra idee, ma gestione raffinata del consenso. Il senatore Day è il simbolo di questa macchina: elegante, moderato, implacabile. E poi c'è Peter Sanford, il giovane giornalista idealista che scopre presto quanto l'ideale sia materiale deperibile. Washington lo assorbe, lo addomestica, lo restituisce più furbo e quindi più utile al sistema.
Il cosiddetto ciclo politico (o ciclo dell'Impero americano) di Gore Vidal è la controstoria degli Stati Uniti, una serie di romanzi che attraversa due secoli di potere, mostrando come la repubblica si sia trasformata in impero mentre i cittadini applaudivano senza capire.
L'ordine cronologico degli eventi è questo. Insieme con Washington, d.c., l'editore Fazi porta in libreria Hollywood, dove Vidal racconta come e quando il Potere abbia scoperto il valore dell'immagine. Cinema e politica si fondono; nasce la democrazia-show. AG