Stenio Solinas
nostro inviato a Cannes
Il confine fra sentimento e sentimentalismo è sottile, ma Gérard Depardieu lo infrange con foga: «Non capisco perché si debba fuggire la teatralità dei sentimenti. Io adoro il genere mélo, ho imparato a leggere sui fotoromanzi che mia madre portava a casa... Non bisogna aver paura di esprimere quello che si prova. Le cose che parlano al cuore sono sempre vere, come le canzoni».
Presentato ieri in concorso, Quand jetais chanteur (Quando ero cantante) del francese Xavier Giannoli, è un film ruffiano nel senso buono del termine: strizza locchio al lato romantico e nostalgico che si nasconde dietro il cinismo di cui la vita ci ha corazzato e invita a lasciarsi andare. Nelle mani di qualsiasi altro attore, il rischio melassa sarebbe allorizzonte: affidato a Depardieu viene evitato grazie a una sobrietà di toni e di gesti opposta a quella «teatralità dei sentimenti» con i giornalisti difesa con foga. Dal che si evince che tanto Depardieu è gigione e un po bastian contrario nelle conferenze stampa, tanto è misurato e attento sullo schermo.
Racconto di due solitudini che si incontrano, si prendono e si lasciano, intanto si conoscono, alla fine si ritrovano ma sanno che non durerà, Quand jetais chanteur (il titolo è quello della canzone omonima di Michel Delpech) è la storia di Alain Moreau, un cantante di ballabili, quelli che si esibiscono nei tè danzanti, nei dancing, nelle sale popolari, famoso nella sua piccola realtà di provincia, consapevole, e però senza rimpianti, che la grande occasione è passata e non tornerà più, e casomai preoccupato di poter essere soppiantato dal karaoke... Ha superato i cinquantanni, è ancora scapolo, vive in campagna con la sua capretta, la sua lampada abbronzante, la sua solitudine. La sola cosa che va a turbare questultima è lamore, nella figura di Marion, trentanni, separata, un figlio, un altro mondo, unaltra generazione.
«Cantare è nella natura delluomo» dice Xavier Giannoli, «e anche in quella del cinema. Fu Il cantante di jazz a segnare il passaggio dal muto al sonoro, e dunque... Questo film nasce da unidea di fondo: che cosa accade quando si ascolta una canzone, perché un particolare motivo ci commuove sempre, perché un altro è per noi particolarmente importante? È un qualcosa che ci tocca tutti e la parola in musica è una sorta di linguaggio universale. In sé, Quand jetais chanteur non è la storia di un cantante in quanto tale, ma di un uomo che fa il cantante come lavoro, rispettato, più che ammirato, conosciuto, ma non per questo celebrato».
Nel film è lo stesso Depardieu a cantare, un repertorio melodico che va dallAnamour di Serge Gainsbourg a Save the Last Dance di Mort Shuman, ai classici di Aznavour, Vartan, Antony, Battisti, in breve il «come eravamo» dei Sessanta e dei Settanta, e lo fa con sconcertante facilità e naturalezza. «No, non è stato difficile, non dovevo imitare un cantante famoso, fargli il verso. Dovevo, semplicemente, essere quello che nel film sono: uno che ama le canzoni e fa danzare la gente». La Marion che incrocia il destino di Alain Moreau è Cécile de France, fisico androgino, capelli corti, occhi azzurri, una naturale eleganza. «Cè un suo film» racconta il regista, «che già nel titolo spiega che cosa lei sia: Larte delicata della seduzione. È unattrice magica».
Dice una canzone di Jacques Brel: «Et puis jai horreur de tous les flonflons, de la valse musette et de l'accordeon»... Per evitare questo «orrore» di fisarmoniche, balere e balli figurati, Giannoli ha eliminato qualsiasi lato pittoresco e/o patetico. «Ciò che è interessante nel film è proprio questo» dice Cécile de France, «il modo rispettoso con cui è abbordato quelluniverso della canzone popolare, di cui il mio personaggio è agli antipodi. Le canzoni parlano di cose complicate con parole semplici e non bisogna stare troppo a intellettualizzare. È listinto che ci fa danzare, che fa sì che quel brano ci faccia trasalire».
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