Un microchip ai clandestini, proprio come ai cani: è una proposta radicale, oltre i limiti del cattivo gusto. In Iowa, lo Stato granaio dAmerica, da cui parte ogni quattro anni la corsa delle presidenziali, lha lanciata un candidato repubblicano al voto di mid-term per la Camera dei Rappresentanti. LAmerica non può fare a meno degli illegali che lavorano nei suoi giardini, lavano i piatti nei suoi ristoranti, badano ai figli e ai vecchi genitori. E dunque: «Prenderli, identificarli, essere sicuri di sapere dove sono e dove vanno».
Pat Betroche, un medico di Urbansdale in Iowa, ha così suggerito di installare un microchip su ogni clandestino: «Posso metterlo al mio cane, perché dovrebbe essere contro la legge?». Le parole di Betroche, in un dibattito in vista delle primarie del partito a Tama County, sono rimbalzate da costa a costa, provocando una valanga di proteste. «Capisco che non è una cosa popolare da dire, ma è certo meno costoso che costruire un muro sotto cui possono scavare un tunnel», ha detto il candidato.
Ma è stata davvero solo una gaffe imperdonabile, capace di costare al medico la candidatura o lindicatore del punto di rottura a cui è arrivata negli Stati Uniti la polemica sullimmigrazione? «Va bene quando scappano i cani, perché non dovrebbe funzionare con i messicani?», ha polemizzato, con sarcasmo al vetriolo, un blogger del Minneapolis Star Tribune. Betroche si è successivamente accorto di averla detta grossa: «Non sono favorevole a mettere microchip a nessuno e non mi è passato per la testa di aver paragonato i clandestini ai cani».
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