Derek Trucks, il re dei baby bluesmen

Inserito nell’elenco dei 100 migliori chitarristi, ha 26 anni e suona da quando ne aveva dieci. Stasera è con Clapton all’Arena di Verona

Antonio Lodetti

da Milano

Un giovane prodigio. A 10 anni suonava dal vivo con la sua prima band e aveva tanta stoffa, tanto da diventare un chitarrista di culto. Ora Derek Trucks a 26 anni, spicca nell’elenco dei 100 chitarristi migliori di tutti i tempi stilato da Rolling Stone, è ospite d’onore negli show degli Allman Brothers, è arrivato in Italia a far passerella al fianco di Eric Clapton (stasera sono all’Arena di Verona) e ha da poco pubblicato Songlines, uno dei migliori dischi dell’anno nel genere blues-rock e affini. Il suo segreto? «Costruire qualcosa di nuovo sulle fondamenta intoccabili del blues. È un percorso delicato perché si rischia di ripetere il passato o al contrario di allontanarsene troppo. Non è facile fare l’artista oggi, dopo che i grandi hanno già detto tutto». Eppure Derek ci prova e mischia il blues acustico (Crow Jane) con mélopée indoarabeggianti (Sahib Teri Bandi/Maki Madni di Nusrat Fateh Ali Khan), passando per il jazz concettuale di Roland Kirk (Volunteered Slavery) o per sue composizioni aggressive (anche se dal testo un po’ ingenuo) come Revolution. Tutto questo mescolato ad uno stile che trae spunto dal suono degli Allman (in cui milita Butch Trucks, zio di Derek). Difficile definirlo. «Sono un bluesman moderno con grande rispetto e attenzione per Charley Patton, Son House e Skip James ma il mio idolo è Elmore James, che ha trasformato il blues del Mississippi in blues elettrico». Il titolo del suo nuovo disco, Songlines, si ispira all’omonimo romanzo di Bruce Chatwin. Chatwin va in cerca delle radici degli aborigeni; Trucks a caccia delle origini della musica popolare. «Mi piace pensare che studiando le rocce, i fiumi, si possano trovare tracce dell’antico folklore americano. Bisogna sapere ascoltare la natura, scovare questi pezzi di vita popolare e farli vivere nel presente. Trasformare l’archeologia sonora in attualità».
Un ragazzo con le idee chiare in tempi di suoni radiofonici usa e getta. «L’hip hop è ricco di spunti, ma è una forma espressiva molto lontana da me. Le radio non mi interessano, ma il segreto di molti brani, anche blues, è una bella melodia». Uno che non si monta la testa («Il mio sogno? Lo sto vivendo adesso») senza farsi coinvolgere da ciò che gli accade intorno. È tra i 100 chitarristi migliori di sempre? «Non voglio essere tutto virtuosismo e velocità. Il chitarrista deve essere come il pittore, regalare sfumature e colori». Suona in tour al fianco di Clapton? «Nella mia band sono il leader, qui mi metto al servizio di un maestro come Eric.

Imparo a dosare gli assolo, i ritmi, a mettermi al sevizio degli altri. Insieme alle jam session con gli Allman è la mia vera palestra di vita. Voglio che il mio stile sia sempre in crescita, lontano dalla routine e dai compromessi».

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