Il confine della discordia. L'estrema destra tedesca si scopre divisa lungo una linea di faglia est-ovest: una parte guarda al di là dell'Atlantico, verso gli Stati Uniti di Donald Trump, l'altra parte ha il collo torto verso gli Urali e la Mosca di Vladimir Putin. La tensione che oggi percorre Alternative für Deutschland riflette una contraddizione ideologica profonda: da una parte l'attrazione verso l'universo trumpiano, con il suo populismo nazionalista e la sua retorica anti-establishment incarnata dal sodalizio con figure come il vicepresidente J.D. Vance e, fino a tempi recenti, dal sostegno mediatico di Elon Musk; dall'altra la perdurante fascinazione per il modello putiniano, quella Russia autoritaria e tradizionalista che da anni rappresenta per molti esponenti del partito un riferimento culturale e politico alternativo all'Occidente liberale.
La divisione taglia di netto lo stesso vertice di AfD, composto da due co-presidenti. Alice Weidel ha recentemente manifestato una posizione dura nei confronti delle trasferte moscovite di alcuni rappresentanti del suo schieramento. Con fermezza inusuale, ha dichiarato di non comprendere le ragioni di simili pellegrinaggi e ha minacciato provvedimenti disciplinari severi, fino all'eventuale radiazione, per chi intendesse proseguire su questa strada.
Le sue parole segnano una rottura significativa rispetto alla tradizionale equidistanza del partito e tradiscono un calcolo strategico che guarda prioritariamente verso Washington.
L'avvicinamento alla galassia repubblicana statunitense non è casuale: la convergenza programmatica con il movimento Maga offre legittimazione internazionale e visibilità mediatica, come dimostrò l'intervista concessa da Musk durante la campagna elettorale tedesca, evento che garantì una risonanza altrimenti impensabile.
Tino Chrupalla incarna invece la continuità con quella linea filorussa che ha contraddistinto AfD sin dalle origini. Le sue dichiarazioni pubbliche, nelle quali minimizza la minaccia rappresentata da Mosca nonostante l'aggressione all'Ucraina e rivendica la necessità del dialogo con il Cremlino, rivelano una visione geopolitica radicalmente diversa. Per Chrupalla e per quella parte del partito che affonda le radici nei Länder orientali, la Russia non è soltanto un partner diplomatico potenziale, ma rappresenta un modello valoriale: ordine, stabilità, difesa dell'identità nazionale contro le derive cosmopolite dell'Occidente. Questa postura risuona particolarmente presso gli elettori della ex Germania Est, dove permane un rapporto meno conflittuale con Mosca, eredità di decenni di storia condivisa.
La questione dei viaggi russi o dei colloqui presso l'ambasciata moscovita a Berlino costituisce il sintomo più evidente di questa frattura interna. Alcuni parlamentari hanno mantenuto contatti sistematici con esponenti dell'establishment russo, partecipando persino a iniziative dal sapore propagandistico che espongono il partito ad accuse di ambiguità, se non di vera e propria collusione.
La metamorfosi atlantista di Weidel appare dunque come un tentativo di riorientare strategicamente il partito verso un alleato percepito come più affidabile e politicamente redditizio.
L'America di Trump condivide con AfD l'avversione verso le élite tradizionali, il nazionalismo economico, la diffidenza verso il multilateralismo.
Eppure questo riposizionamento comporta inevitabilmente uno strappo con quella componente che nel partito continua a vedere in Putin un baluardo contro la decadenza occidentale.La scommessa di Weidel è che il fascino esercitato dall'establishment repubblicano possa compensare l'alienazione di chi considera la vicinanza a Mosca un elemento identitario irrinunciabile.