Devoluzione, adesso Fassino si inginocchia davanti alla Chiesa

Il segretario diessino plaude a Ruini sul federalismo e scatena l’ira di Comunisti e Sdi. Boselli: «Sempre deprecabile l’ingerenza dei vescovi»

Laura Cesaretti

da Roma

Sulla devoluzione, il segretario della Quercia Piero Fassino si rimette al buon dio, o per lo meno ai suoi luogotenenti terrestri in sottana vescovile: «Spero che il governo abbia il buonsenso di ascoltare almeno la Conferenza episcopale visto che non ascolta l’opposizione», dice. Perché «mi pare che venga dai vescovi un allarme e una preoccupazione più che giustificati». Reduce da un pomeriggio in Vaticano ad applaudire fiction su Wojtyla e a stringere la mano a Ratzinger, Fassino si sente in piena sintonia con i gusti dei prelati, cui la riforma federale non piace granché la parte relativa alla gestione della Sanità: «Quella dei vescovi - dice il leader diessino - è la mia stessa preoccupazione, che ho già avuto modo di esprimere: il rischio è che da un sistema sanitario nazionale che garantisce a tutti i cittadini italiani stessi diritti si passi a 20 sistemi regionali in cui i cittadini italiani non avranno più diritto alle stesse cure».
Ma non è l’unico a sinistra, Fassino, a sentirsi toccato dalle esternazioni ecclesiastiche in materia («Crescono le perplessità sulla riforma federale», sentenziava ieri l’Osservatore romano): la Margherita applaude con il rutelliano Renzo Lusetti, per il quale - manco a dirlo - «la preoccupazione dei vescovi è giusta e ineccepibile, perché la devoluzione di Bossi e Berlusconi è l’esatto contrario del federalismo e della solidarietà». E pure per il Verde Paolo Cento bene ha fatto la Cei a «sollevare i rischi di un sistema sanitario iniquo imposto dalla devoluzione».
Tanto plauso a sinistra attorno alle gerarchie e alla loro presa di distanza dalla devoluzione fa irritare i cattolici militanti dell’altra sponda. A cominciare dal presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, che tuona contro il «doppiopesismo inaccettabile» dell’Unione: «Quando i vescovi esprimono la loro posizione di perplessità sulla riforma costituzionale ricevono da alcuni consensi entusiastici e applausi interessati; quando invece manifestano i loro orientamenti sui temi della morale, della vita e della famiglia si grida allo scandalo e alla pericolosa ingerenza». Di rincalzo arriva Sandro Bondi: «Non si può attaccare o accettare quello che dice la Chiesa cattolica a seconda del momento o a seconda delle cose che dice il cardinale Ruini o la chiesa cattolica siano favorevoli o non favorevoli ad una parte politica». Ma anche da sinistra arrivano critiche agli eccessi di compiacenza di parti dell’Unione verso le gerarchie: «Ho assistito con stupore e sgomento - dice il segretario Pdci Diliberto - all’accondiscendenza dimostrata da alcuni esponenti della sinistra verso un’offensiva clericale che non si vedeva da anni». Quanto a lui, non si è unito all’applauso verso Ruini per le critiche alla devoluzione «perché credo che l’interesse della Chiesa verso i temi politici sia sempre deprecabile. Io difendo la laicità e non applaudo la Cei quando interviene su cose dello Stato. La Cei non può essere criticata o applaudita a seconda di quello che dice».
Ma il doppiopesismo, secondo il leader socialista della Rosa nel pugno, Enrico Boselli, è proprio quello della Conferenza episcopale: il cardinale Ruini, che nel referendum sulla procreazione assistita si era «precipitato a indicare, con dovizia e nel dettaglio, come si dovevano comportare gli elettori», su devoluzione e relativa consultazione popolare «è stato molto più cauto e superpartes». Evidentemente «nella sua tattica politica usa due pesi e due misure, con un occhio di riguardo verso la maggioranza di centrodestra e in particolare verso la Lega». Per questo, aggiunge ironico, d’ora in poi «lo chiameremo “presidente”, come si addice ad autorevole e intelligente leader politico».

Assai più cauto Bertinotti, per il quale quella dell’episcopato è «una libera opinione che si può laicamente condividere o no», su una riforma che rappresenta «una vera e propria devastazione della cittadinanza unitaria».

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