Diagnosi sbagliate e visite superficiali Ma per la Procura nessun reato a Rho

Nessun caso di malasanità all’ospedale di Rho. La Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione del fascicolo d’inchiesta a carico di un ex primario e di altri medici. Le ipotesi di reato, ora sfumate in una bolla di sapone, non erano leggere, anzi: si parlava di lesioni e omicidio colposo per una ventina di casi, di garze dimenticate nel corpo dei pazienti e di una morte sospetta nel reparto di chirurgia. Il pm Maura Ripamonti aveva aperto un’inchiesta per verificare gli episodi, nessuno dei quali era però stato denunciato dalle presunti parte offese.
La Procura, anche sulla base di una consulenza, è giunta alla conclusione che è da escludere la configurabilità del reato di lesioni personali colpose dal momento che nessuna patologia o lesione è «riconducibile a condotte negligenti o imperite dei sanitari». «Si è trattato piuttosto - scrive il pm nella richiesta di archiviazione - di diagnosi sbagliate (ma superate dal successivo tempestivo intervento di altri medici), di visite omesse o eseguite in maniera superficiale per dispetti tra medici, di presunte irregolarità nella sottoscrizione dei moduli di consenso informato o di atteggiamenti sgarbati nei confronti dei pazienti e/o tesi a denigrare altri medici».
E poi c’è il sospetto omicidio colposo di un paziente ricoverato nel febbraio 2011 e morto nell’aprile successivo, dopo tre interventi per un’ernia inguinale e le sue complicazioni. Anche se sono state riconosciute «forme di imperizia» con riferimento agli interventi in sala operatoria, la Procura precisa che «non è ravvisabile un nesso causale rispetto al successivo decesso del paziente». Questo anche perchè, spiega il pm, «gli interventi chirurgici a cui il paziente fu sottoposto erano tutti indicati in relazione alle patologie e alle complicanze successivamente manifestatesi».
Storia archiviata quindi. Lo scandalo era nato per vendetta. Cioè: un medico, aggredito dai colleghi, aveva deciso di raccontare alcune malefatte del reparto per cui aveva lavorato.

Ma da subito le storie dei tumori curati come appendiciti e delle garze dimenticate è parsa esagerata. Anche al direttore lombardo della Sanità, Carlo Lucchina, che aveva commentato: «Descrivono il reparto come se fosse Auschwitz ma non è così».

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