Controcultura

Il dialetto milanese da Bonvesin a Nanni Svampa

Un'opera monumentale raccoglie la tradizione delle lingue lombarde, a partire dalla città di Porta e Gadda

Il dialetto milanese da Bonvesin a Nanni Svampa

«Eo Bonvesin da la Riva/ no voio fà k'eo no diga/ sì com se desputava/ la mosca enla formiga», una disputatio scritta fra Due e Trecento. «Olà, scià scià, corri corri toson/ corri scià tost, che vagom laga in Dom» (e siamo nel Quattrocento). «Va mò porca in su forch, va che tó intes/ va mò int i magazzin co i tû berton...» (a scrivere è un maestro di Cappella del Cinquecento). «Milanes, Alègher fiss,/ co i torné, co ij gióster e ij liss,/ co ij comedij, e co i banchitt/ mascarad, cors, e festitt), è una «bosinata» del 1862 e significa «Milanesi, sempre allegri, con i tornei, con le giostre, e le lizze, con le commedie e coi banchetti, mascherate, sfilate e festini...»). «Che miseria, Signor!/ beugnarav esse de sass!/Chi l'è che pô dormì cot sto fracass?» (è un dialegh del 1809). Poi si può citare ovviamente il Giovannin Bongee, poemetto del 1821, o El Pepp perucchee (1814) di Giuseppe Bossi da Busto Arsizio, o L'Adalgisa di Carlo Emilio Gadda, che a cantare aveva iniziato «da piscinina»... O gli immortali «versi» di Enzo Jannacci: «Che scüsé, ma mi vori cüntavv/ d'un me amis che l'era andà a fa 'l bagn/ sül stradun per andare all'Idroscalo/ l'era lì, e l'amore lo colpì», era il 1964...

Preghiere, strambotti, poemetti, novelle, canzoni... La grande letteratura, anche quella dialettale, si misura con tutti i generi. Da secoli. E con quali risultati, qui da noi a Milano, lo spiega perfettamente un'opera monumentale, dal punto di vista filologico, storico, poetico: La letteratura dialettale milanese (Salerno editrice), volume di due tomi di 1500 pagine che - con un numero enorme di testi antologizzati, biografie degli 87 autori, traduzioni letterali e un ricco apparato di commenti - ripercorre sette secoli di una delle più importanti tradizioni letterarie italiane in dialetto, ossia quella che si è sviluppata a Milano in concorrenza e a fianco della letteratura in lingua, da Bonvesin da la Riva (1250-1315 circa) a Dario Fo, Enzo Jannacci e Nanni Svampa. E in mezzo troviamo - fra tantissimi altri - Fabio Varese, Carlo Maria Maggi, Carlo Antonio Tanzi, Domenico Balestrieri, Giuseppe Parini, Tommaso Grossi, Giovanni Rajberti... Insomma, un capolavoro editoriale.

Voluta e finanziata dalla Regione Lombardia, per diretto interesse e volontà del professore Stefano Bruno Galli, oggi assessore regionale all'Autonomia e Cultura (e che qui firma una densa prefazione), e curata da Silvia Morgana, già professore ordinario di Dialettologia italiana e Storia della lingua all'Università degli Studi di Milano (che ha coordinato una squadra di studiosi e specialisti impressionante), La letteratura dialettale milanese, dopo un lavoro di due anni e un progetto che prevede altri due volumi, uno dedicato ai dialetti della Lombardia «prealpina» e uno a quelli della Lombardia «padana», realizza due grandi obiettivi. Il primo è quello di illustrare con tutta la ricchezza di materiali possibile (anche con qualche autore e testo inedito) la nascita e lo sviluppo degli usi letterari del dialetto milanese lungo la grande fioritura settecentesca e poi la poesia-capolavoro di Carlo Porta fino alla originalissima tradizione milanese otto-novecentesca, fra Delio Tessa, l'immenso Giovanni Testori, il genovese di nascita e milanese arius Franco Loi, il triestino di Milano Giorgio Strehler («Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, sbattuu de su, sbattuu de giò: mi sont de quei che parlen no...»), dando spazio anche al teatro e alla canzone d'autore più vicina a noi; dimostrando - se mai ce ne fosse bisogno - che il milanese è una «lengua» a tutti gli effetti: una lingua con i suoi canoni, di altissimo livello, di grande ricchezza, varietà e con mille sfumature che l'italiano «ufficiale» non sempre offre (esempio: il termine «rusà» ha una forza che il verbo «spingere» non ha).

E il secondo obiettivo dell'intero progetto è la valorizzazione del patrimonio culturale delle lingue lombarde (perché esistono tante lingue: il bergamasco non è il mantovano...): una forma di «capitale» che sostiene il senso di appartenenza e di identità delle comunità territoriali lombarde.

Un elemento fondamentale soprattutto oggi - aggiunge Stefano Bruno Galli - «di fronte alle derive deteriori dei processi di globalizzazione».

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