Arte

Il dialogo invisibile che avvicina Fontana e Giacometti

A Firenze persino i tormenti del Novecento rinascono a nuova vita

Il dialogo invisibile che avvicina Fontana e Giacometti

A Firenze persino i tormenti del Novecento rinascono a nuova vita. Nella città che ospita ancora per tutto il mese a cinquant'anni dalla memorabile mostra al Forte Belvedere due monumentali sculture di Henry Moore (1898-1986) in luoghi-simbolo della città (Family Group, fotografatissimo in piazza della Signoria, e Large Interior Form sul sagrato di San Miniato), altri due geni del secolo scorso, per la prima volta insieme, dialogano con gli spazi quattrocenteschi del capoluogo toscano: Alberto Giacometti e Lucio Fontana.

Il loro incontro ideale avviene a Palazzo Vecchio, nella sala delle Udienze e nella sala dei Gigli (al termine del lungo percorso museale: vale la pena resistere). Qui, in un salone dalla tappezzeria a fondo blu e oro, la Giuditta di Donatello vigila sulla Signorina seduta di Fontana e L'object invisible di Giacometti, sculture così distanti nel materiale, la prima in terracotta colorata e il secondo in bronzo scurissimo, così vicine nel gesto delicato delle mani che disegnano lo spazio vuoto, tracciando la presenza di un'assenza. È l'intuizione più riuscita della mostra Giacometti Fontana. La ricerca dell'assoluto, a cura di Chiara Gatti e Sergio Risaliti (fino al 4 giugno 2023), che osa un confronto tra due giganti del Novecento che mai si incontrarono pur essendo affini nella ricerca creativa. Con una pratica artistica per entrambi giocata sulla manipolazione e sulla rinuncia alla forma, Lucio Fontana (1899-1968) e Alberto Giacometti (1901-1966) sono ossessionati dall'invisibile: Fontana si proietta nel cosmo, Giacometti discende agli inferi dell'umano. Entrambi rifuggono il superfluo come si vede a Palazzo Vecchio, grazie a prestiti provenienti dalla Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence e dal Museo del Novecento di Milano, dal felice confronto tra gli esili uomini in marcia di Giacometti e i grumi di materia, quasi dei meteoriti, trasformati in concetti spaziali da Fontana. «Giacometti e Fontana si sfiorano nella storia, lavorano negli stessi anni, citano gli stessi maestri (Giotto fra tutti), percorrono le stesse rotte e, soprattutto, guardano nella stessa direzione: verso il vuoto, l'invisibile, il sacro, l'altrove fisico e mentale», commenta la curatrice Chiara Gatti.

Da una brillante idea di Sergio Risaliti nasce il secondo capitolo del progetto che si concentra, nei due piani delle ex Leopoldine in piazza Santa Maria Novella, attuale sede del Museo Novecento, sul coté femminile, generativo e addirittura erotico dell'arte di Lucio Fontana. L'italoargentino è qui presentato sotto una lente ancora poco esplorata: vediamo infatti disegni, dipinti e sculture che, dal 46 fino agli ultimi anni della carriera, si interrogano sulla forza creativa e sulla pulsione generatrice dell'arte. S'intitola Lucio Fontana. L'origine du monde evocando il noto e scandaloso dipinto di Gustave Courbet questa mostra (una vera chicca) che osserva i lavori di Fontana in perenne bilico tra amore platonico e carnalità. Di uno come Lucio Fontana è stato scritto tutto e molto è stato mostrato. Non era facile, ma questo progetto fiorentino ci riesce, tentare uno sguardo nuovo: dal confronto diretto con Giacometti a Palazzo Vecchio emerge un Fontana più spirituale, dal dialogo immaginario con Courbet al Museo Novecento affiorano i suoi istinti.

L'affascinante dialettica tra elevazione dello spirito e gesto primario, tra astrazione e corporeità, arriva a spiegare in maniera originale ma circostanziata il senso dei tagli e dei buchi che portarono un nuovo rinascimento nel Novecento.

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